Viticoltura ad impatto zero. Questa è la scommessa che Emma e Roberto Di Filippo hanno fatto qualche anno fa, quando hanno preso in mano le redini dell’azienda familiare sui colli perugini di Cannara. Impatto zero, ma proprio zero, perlomeno in vigna, dove le procedure, se ripensate su basi biodinamiche, possono essere riprogrammate in modo da incidere nel minor modo possibile sulla salute del terreno, e quindi dell’uva. Per questo non è raro imbattersi, vagando tra i filari, in gruppi starnazzanti di oche, lasciate libere di scorrazzare di vite in vite a brucare l’erba in eccesso o a fare piazza pulita di insetti potenzialmente pericolosi per la salute delle piante. Vietato stropicciarsi gli occhi poi se durante la vendemmia ci si imbatte in carretti trainati da cavalli stracolmi di grappoli pronti per essere trasferiti direttamente in cantina: se impatto zero deve essere, impatto zero sia. Niente diserbanti, niente trattori. Una scelta estrema, ma nemmeno così eccentrica come potrebbe sembrare al primo impatto.
Una sceltra estrema
«Non abbiamo inventato nulla, intendiamoci – si affretta a precisare Emma Di Filippo – Semplicemente crediamo che un’altra viticoltura sia possibile e stiamo cercando di dimostrare che non è un’utopia riuscire a produrre vino biologicamente ineccepibile, di buona qualità e soprattutto a prezzi competitivi».
È dal 1996 che i Di Filippo stanno lavorando nel pieno rispetto degli equilibri naturali, ma solo dal 2008 hanno deciso di avviare quella sperimentazione a base biodinamica che sola avrebbe potuto depurare il terreno da tutto quello che a loro modo di vedere avrebbe ostacolato il pieno sviluppo delle piante: «Ad un tratto – precisa Emma Di Filippo – ci siamo chiesti cosa avremmo potuto restituire alla terra che per tanto tempo avevamo sostanzialmente depredato. E abbiamo deciso di provare, sulla scorta di esperienze che in altri paesi sono da tempo diventate “normali”. Dunque via il diserbante, via i mezzi meccanici, via il rame, via i solfiti. Ci siamo concentrati sulle piante e sulle loro esigenze: virgulti sani avrebbero richiesto meno interventi esterni, e così finora è stato. Se permetti ad una vite di crescere nel miglior modo possibile, non serve poi soffocarla con sostanze chimiche, per quanto “naturali” esse possano essere. Abbiamo poi provato ad eliminare tutti quegli strumenti incompatibili con un rapporto alla pari: ecco perché abbiamo reintrodotto i cavalli, nonostante il loro addestramento non sia stato semplice. Ma per fortuna da qualche anno produciamo vini in Romania, dove circostanze simili sono la norma e non l’eccezione: per questo abbiamo chiamato alcuni contadini da là per farci dare i rudimenti di base. E se dalle loro parti le vigne producono secondo natura, non abbiamo visto ostacoli che ci impedissero di fare la stessa cosa alle nostre latitudini».
Nel giro di qualche anno, dunque, l’azienda Di Filippo dovrebbe riuscire ad affacciarsi sul mercato con un nuovo prodotto biodinamico in grado di non spaventare il consumatore per il suo costo, che spesso, per prodotti simili, è davvero esorbitante. «È la nostra sfida nella sfida: riuscire a vendere vino di categoria a prezzi accessibili. D’altronde, avendo rinunciato a costosi macchinari e prodotti chimici, a rigor di logica dovremmo riuscire ad abbattere i costi di produzione, non ad aumentarli». E se qualcuno apre la strada, poi difficilmente la concorrenza potrà permettersi di mantenere posizioni insostenibili sul mercato. Certo, i costi non saranno abbattuti completamente: «Ovviamente la biodinamica può incidere solo in vigna – spiega Emma Di Filippo – visto che in cantina non sussistono a tutt’oggi le condizioni per eliminare le conquiste tecnologiche fatte nel corso degli anni. Non perché possano crearsi problemi igienici o difficoltà di controllo delle procedure di vinificazione, però.
Il vino che produciamo, alla fine, lo vogliamo vendere. E i gusti negli ultimi anni si sono standardizzati, diciamo pure raffinati, al punto che sarebbe impossibile proporre al consumatore un vino che non possedesse quelle caratteristiche che ha imparato a riconoscere in un vino “buono”. Rinunciare all’acciaio, per esempio, o alle tante macchine di controllo della qualità del prodotto sarebbe oggi come oggi controproducente. Certo, se potremo diminuire il livello dei solfiti nelle bottiglie, fino ad eliminarli definitivamente, lo faremo. Ma al momento proviamo a concentrarci sul lavoro in vigna, che da solo costituisce la maggior parte dello sforzo. Per esempio imponendoci di mantenere inalterate non solo le caratteristiche specifiche dei vitigni, ma addirittura riproducendo le operazioni colturali che nel passato avevano giovato all’uva. E se alla fine tutto questo ci imporrà di aumentare il prezzo alla vendita di 50 centesimi alla bottiglia, dovremo essere bravi noi a comunicare al consumatore il motivo per cui gli si chiede quel mezzo euro in più». E anche in campo di comunicazione una strada biodinamica potrebbe esserci: starà a loro riuscire a individuarla per far quadrare definitivamente il cerchio. In attesa di brindare con un bicchiere di Sagrantino rigorosamente biodinamico. Di più, ultra-biodinamico.