1) Buongiorno Raffaele, innanzitutto ho l’obbligo di presentarti. Raccontaci qualcosa di te, le tue origini.
Sono nato a New York il 23 settembre 1976, da genitori italiani che migrarono negli Stati Uniti all’inizio degli anni ‘70 in cerca di gloria come tante altre famiglie.
La mia permanenza nella Grande Mela comunque dura appena due anni perché la mia famiglia decide di rientrare anticipatamente in Italia per riabbracciare le proprie origini trasferendosi in una piccola cittadina in provincia di Latina di nome Formia.
È qui che comincia il mio percorso e approfondisco i miei studi: ospitalità, ristorazione e ricettività alberghiera.
Solo più tardi e una volta completato il servizio di leva, riesco a realizzare il sogno spezzato da bambino, quello di ritornare negli States e assaporare veramente l’American Dream.
Anche se abbastanza disorientato inizialmente, torno finalmente a guardare dall’alto i grattacieli di Downtown Manhattan.
Agevolato da un passaporto americano, ma con una forte barriera linguistica, trovo occupazione presso l’Hilton Hotel tra la 46esima strada e la sesta, proprio nel cuore di New York, ricoprendo tutti i ruoli “in the front of the house” fino a diventare il Maitre-Sommelier dell’Hotel.
Dopo un’esperienza decennale che considero irripetibile, scelgo di chiudere il mio soggiorno a stelle e strisce e tornare in Italia per riabbracciare le origini, ma soprattutto per cercare nuove motivazioni e ritagliarmi uno spazio come Sommelier nel mondo della ristorazione di Roma, la mia vera capitale .
2) Spesso parto con questa domanda per rompere il ghiaccio: preferisci bollicine, vini bianchi o rossi?
Non sei il primo a pormi questa domanda.
In genere prediligo vini effervescenti, briosi, allegri e spensierati: adoro lo champagne!
3) Non hai ereditato una cantina storica perché il San Lorenzo si può considerare un ristorante ancora giovane, come hai deciso di costruire la tua scelta? Quali sono state le fasi fondamentali?
Al San Lorenzo sono stato molto fortunato.
Ho avuto la possibilità di affiancare e lavorare con la vera artefice di una delle cantine più strutturate e fornite del palcoscenico romano.
A Elena Lenzini devo tanto, mi ha dato la possibilità di intervenire su una carta che contava già circa 900 etichette che spaziavano dall’Italia a tantissime altre parti del mondo, ma con una particolare attenzione alla Francia, muovendosi più per vie orizzontali che verticali.
La fase più importante è la continua evoluzione, bisogna creare il prestigio soprattutto attraverso la profondità, ridurre se possibile le referenze e cercare di creare una carta sempre più mirata e centrata al momento storico.
La carta dei vini non deve rappresentare un peso per il nostro ospite, mi accorgo che ancora oggi circolano carte dei vini troppo difficili da interpretare, ma il mercato sta cambiando per fortuna, c’è una trasformazione in atto.
4) Una domanda per me importante che pongo a tutti i sommelier è questa: perché hai deciso di intraprendere questa carriera?
La carriera da Sommelier si sceglie solo apparentemente, in realtà si nasconde una vera e propria vocazione dietro questa professione.
Non voglio essere retorico, ma la passione unita alla predisposizione riesce a tracciare una linea ben definita che ci porta ad amare il nostro lavoro e a sviluppare un rapporto intimo e profondo con il vino.
È un percorso che ti cambia la vita e ti offre la possibilità di raccontare un mondo ancora molto sconosciuto ai più.
5) Come ti trovi a Roma?
Sono circa dieci anni che vivo e lavoro a Roma.
È una città che adoro e che non ha assolutamente bisogno di particolari propagande per esaltarsi.
Riesce a proclamarsi attraverso la storia e l’infinita bellezza che da sempre la contraddistingue e la colloca nell’Olimpo delle città più belle del mondo.
Una città anche difficile se vogliamo, dove la macchina burocratica trova le sue difficoltà nei servizi e nella gestione di un’elevata capacità demografica spalmata su un territorio veramente molto vasto.
La scelta più intelligente è stata quella di trasferirmi in centro, vicino al lavoro.
Sarebbe stato impossibile vivere di spostamenti in una città come Roma dove il caos, le distanze e la pessima viabilità avrebbero rappresentano per me un grandissimo problema.
6) Come vedi la ristorazione romana nel futuro?
La ristorazione del futuro a Roma non sarà altro che un ritorno al passato per un palato più contemporaneo.
Il vero successo del ristorante in cui lavoro è racchiuso nella capacità e nella lungimiranza dello chef patron Enrico Pierri.
Aver saputo individuare una cucina super diretta e immediata, adatta a un palato legato alla tradizione ma anche perfetta per l’utente alla ricerca del nuovo.
Un idillio ottenuto grazie alla grande materia prima, ma anche grazie a metodi e tecniche di preparazione che non prevedono particolari manipolazioni.
Una cucina di facile interpretazione, di grande esaltazione, difficilissima da riprodurre.
C’è più voglia di concretezza, di essenzialismo, la curiosità è mutata profondamente, si ricercano esperienze diverse.
7) Altra domanda scomoda: tre nomi di colleghi che apprezzi particolarmente.
Forse è la domanda meno scomoda e rispondo più che volentieri.
Un riferimento importantissimo per noi Sommelier a Roma è senz’altro Marco Reitano della Pergola – Hotel Cavalieri Hilton (3 stelle Michelin).
Il suo percorso ultra ventennale lo colloca di diritto sul gradino più alto del podio. L’umiltà e la semplicità con cui esercita il suo lavoro è a dir poco disarmante.
Marco Amato dell’”Imago” all’Hassler (1 stella Michelin), altro grandissimo professionista al quale sono molto legato.
La sua professionalità, unita alla versatilità nel rivestire il ruolo fanno di lui un vero uomo di sala. Lo definirei il sommelier contemporaneo.
Matteo Zappile del ristorante “Il Pagliaccio” (2 stelle Michelin) merita tutta la mia stima.
La sua abnegazione e dedizione verso lo studio del vino rappresenta il vero modello da seguire.
Infine, mi piacerebbe aggiungere, e non per ordine d’importanza, il mio mentore: Daniele Cernilli.
Professionista di levatura e spessore assoluto, è un personaggio in grado di enfatizzare il mondo del vino con classe e competenza superiore.
8) Il sommelier è come un allenatore. Ha un tempo per portare la squadra che allena ai livelli prefissati. Ovvio che la campagna acquisti è fondamentale per raggiungere gli obiettivi. Il tuo obiettivo?
Adoro le metafore calcistiche, anche perché ritengo esista un denominatore comune.
Non è facile mantenere uno standard qualitativo elevato in termini di offerte e di proposte, ma penso che l’utente finale sia l’unico in grado di farci alzare ulteriormente l’asticella.
Guardo e osservo con ammirazione la trasformazione di una città come Milano, mi affascina e mi attrae la verticalità con cui si esprime.
È una città a misura d’uomo, sartoriale per certi aspetti.
Ecco, dopo essermi espresso ad altissimi livelli sulla piazza di Roma, un giorno mi piacerebbe salire sul Duomo e giocare una grande Champions League.
9) Ultima domanda: il vino più grande che hai bevuto?
Durante il mio percorso ho avuto la fortuna di bere e degustare vini di grandissimo livello e assoluta profondità.
Potrei citarne tanti, ma uno su tutti: Puligny Montrachet ” Les Folatieres” 2010 – Dominique Laurent.
Un vino in grado di sbalordirmi nella maniera più assoluta.
L’ampiezza e la complessità di un grande bagaglio olfattivo, sentori e profumi che continuavano a esaltarsi, a evolvere e mutare per tutto il tempo; quel vino è stato una grande esperienza, un vero campione nella sua categoria.
Cristiana Lauro, ambasciatrice del vino per eccellenza, lo definirebbe “fotonico, pazzesco …”.