Non so dire se Damijan Podversic si sia ispirato al pensiero forte di Eleanor Roosevelt quando ha deciso di diventare un vignaiolo. La storica attivista americana, nonché moglie di uno dei più influenti presidenti degli Stati Uniti un giorno disse: “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. Di certo, è difficile imbattersi in un viticoltore che in ogni istante della propria vita abbia avuto come obiettivo esistenziale il perseguimento di un sogno così ambizioso, l’estrazione della “grande bellezza” dalla terra. Si, perché i vini di questo omone sempre pensoso, a tratti scontroso come il profilo del Monte Calvario che ospita i suoi dieci ettari di vigna, posseggono la grazia del risveglio primaverile della Natura e l’armonia di una grande opera d’arte.
Il sogno di Damijan è sempre stato questo: fare un “grande vino”. E ci è riuscito. Un grande vino dall’animo femminile, talvolta sensuale, altre riservato, ma sempre armonico. Lui stesso invoca la bellezza muliebre quando parla dei suoi “figlioli”. Il Nekaj (significa “qualcosa” in sloveno) proviene da un vitigno aromatico, il friulano (prima che la burocrazia europea incedesse con la mannaia si chiamava tocai), ed è come una donna appariscente, “di quelle che si notano da lontano e fanno girare la testa a noi maschietti”. Profuma di frutta matura e spezie, con note di mango e persino di patchouli, come una diva del cinema. La ribolla gialla, invece, proviene da un vitigno basale, avaro di profumi, è come una di quelle ragazze minute e delicate “che non si notano subito, ma che quando si siedono vicino a te non ti alzi più”. Che poi, sono quelle da sposare. E, infatti, sebbene non avvolgente al naso, con note di pesca gialla e bouquet floreale, questa ribolla conquista per eleganza e mineralità, come fosse un vino quotidiano, da bere tutti i giorni. Ed è sorprendente, perché chi conosce i vini macerati sa che leggerezza e leggiadria vanno poco d’accordo con il contatto del mosto con le bucce.
La vocazione alla vigna in Damijan è precoce. Assaggia il vino per la prima volta durante una messa (faceva il chierichetto) e capisce che nell’allegoria del sangue di Cristo c’è la vita vera. Suo padre possiede qualche ettaro subito fuori Gorizia, fa anche il viticoltore, ma non ha consacrato la propria esistenza interamente alla vigna. Damijan, invece, non ama le mezze misure. Termina l’istituto agrario, e inizia le prime vendemmie. Sono proprio i metodi appresi durante gli anni di formazione a portarlo sulla strada sbagliata: “Per anni ho fatto il vino prostrato per terra seguendo i dettami della scuola tecnica. Solo dopo molti anni ho capito che stavo sbagliando: per fare il vino bisogna essere un filosofo, non un tecnico. Un filosofo si pone continuamente domande e adegua il proprio lavoro ascoltando quello che gli dice la natura. Il tecnico applica quello che gli è stato insegnato come se fosse la verità assoluta, come se sapesse sempre tutto. Ma il tecnico non potrà mai sapere sempre tutto; e senza mettere in discussione il proprio lavoro inevitabilmente commetterà degli errori”. Dice che la ricetta magica per produrre un grande vino cambia ogni dieci anni, come il modello della Mercedes. “Negli anni ’70 guai se non avevi il torchio, negli anni ’80 il non plus ultra era la pressa a polmone, negli anni ‘90 la barrique era obbligatoria, poi sono arrivati gli anni 2000 che se non avevi il “grande guru” come Cotarella o Calvin Klein non potevi produrre un buon vino, nel primo decennio del 2000 il must era l’anfora e oggi senza botte a forma di uovo non sei nessuno”. La verità, invece, è sotto agli occhi di tutti: quanti hanno utilizzato la barrique e prodotto vino mediocre? E davvero tutti i vini macerati in anfora sono “grandi vini”? La risposta è ovvia: no.
Infatti, per fare un grande vino non ci vuole la ricetta magica, ma sono necessari tre elementi: “un grande terreno vocato alla frutticoltura, un grande vitigno e il seme maturo”. Le vigne di Damijan crescono sulla ponca, una marna arenaria di origine eocenica, frutto di stratificazioni millenarie ricche di sali e di microelementi che conferiscono al vino caratteristiche peculiari. I vitigni sono cinque, di cui quattro vinificati in purezza: ribolla gialla, malvasia, friulano e merlot. Lo chardonnay, insieme al friulano e alla ribolla dà vita al Kaplija, l’uvaggio bianco elegante e aromatico che “aspira a essere quella donna che piace sia per il suo aspetto esteriore che per la sua profondità”. Il seme maturo è l’elemento che conferisce al vino quel caratteristico sentore di frutta matura, senza alcuna nota erbacea: «Nei miei vini sentirete frutti di tutti i generi, dalla pesca agli agrumi alle erbe fresche, comunque sempre frutti maturi. Non troverete mai sentori erbacei, perché l’uva che vinifichiamo è “stramatura”. È l’acidità che dà la freschezza in bocca, e se questa è naturale ed equilibrata non avremo la sensazione di amaro e slegato». La barrique alle nostre latitudini è dannosa, toglie longevità e freschezza al vino: “è necessaria in Francia, dove il seme non giunge mai a piena maturazione per motivi climatici”.
Il risultato di questa filosofia è un vino che deve essere sempre “croccante”, teso tra maturità e acidità a prescindere dall’andamento delle stagioni: “aspetto che l’uva maturi in vigna e a seconda della stagione so già il tipo di vino che nascerà. Se la stagione è stata calda e ventosa, il vino sarà come una canzone degli AC/DC, vitale ed esplosivo. Se la stagione è stata bagnata e fredda, il vino sarà come la Nona sinfonia di Beethoven, arriva piano e poi si apre in tutta la sua meraviglia. E poi il seme, il filo del rasoio tra ossidazione e riduzione, impartirà il suo carattere”. Questa filosofia, ovviamente, è anche il frutto della frequentazione di grandi maestri, da Nicola Manferrari (il farmacista-enologo di “Borgo del Tiglio”) a Josko Gravner: dal primo ha assorbito la vocazione all’eleganza, dal secondo ha appreso il rispetto per la terra e il ciclo della Natura.
Oggi Damijan Podversic è sul punto di portare a compimento il suo sogno. Ha una famiglia unita e numerosa, ha saputo realizzare un grande vino e sta per terminare la nuova cantina. “E’ l’ultima fase di realizzazione del mio sogno: ho ancora 7-8 vendemmie davanti a me, poi lascerò la guida dell’azienda a chi lo merita, che siano i miei figli o altri entusiasti prosecutori della mia attività”. Però, fino ad allora, non smetterà di ricordare a se stesso e agli altri che “se vuoi fare un grande vino, devi sentirti una formica: se ti senti un grande tecnico oltraggi la Natura e quello è il momento in cui sbaglierai tutto”.
LA DEGUSTAZIONE: Damijan consiglia di bere i suoi bianchi a una temperatura di 15 °C perché li ritiene assimilabili ai vini rossi.
Ribolla 2012 (MAGNUM, 14 % vol.)
Ribolla 2009 (Magnum, 14 %vol.)
Ribolla 2005 (Riserva, 13 %vol.)
Ribolla Gialla in purezza. Luminoso e leggermente ambrato, sentori di frutta secca e fiori gialli; possente ma elegante, è tannico e minerale, con ricordo di botrite nobile.
Il secondo è frutto di “un’annata calda che arriva con tutta la sua potenza, come un pezzo degli AC/DC”, dice Damijan. Il suo giallo ambrato è vivido, il frutto intenso, con accenni di erbe aromatiche fresche. Al palato è ricercato e vagamente calcareo. Il terzo, infine, è di un ambrato antico, con profumi che ricordano quasi la pasticceria. In bocca è marino, sapido con tannini ricchi, di frutto ancora croccante. Lo stesso Damijan, che non lo degustava da molto tempo, è sorpreso per la sua longevità.