La fama dei vini della Champagne era arcinota anche prima dell’arrivo del “leggendario” Dom Perignon, solo che i vini erano fermi, abbastanza leggeri, aromatici e aciduli, quindi assai gradevoli e beverini, ma con una forte tendenza a rifermentare; erano rossi, bianchi, “grigi”, rosati, ed apprezzati soprattutto dai nobili inglesi, disposti a pagarli assai profumatamente.
All’inizio furono i monaci a coltivare i vigneti per produrre il vino sacro per la celebrazione delle messe.
In seguito, una combinazione fortuita di eventi ha assicurato allo Champagne un posto importante nella storia: Saint Rémi, vescovo di Reims, residente in una villa cinta da vigne presso l’attuale Epernay, convertì al Cristianesimo Clodoveo, re dei Franchi e, quando la notte di Natale del 496 il primo re di Francia fu battezzato, la sua consacrazione avvenne con lo Champagne, nella regione della Champagne.
È infatti a Reims, nel cuore della regione della Champagne, che tra l’898 e il 1825 tutti i re di Francia furono incoronati e, nel corso dei festeggiamenti, lo Champagne scorreva a fiumi.
I vini della zona erano apprezzati per i loro aromi e per il gusto eccezionale ed erano offerti in dono ai sovrani che, accorsi, con ampio seguito, per assistere alle cerimonie regali, visitavano tutta la regione.
I vini allora erano graditi e bevuti dolci e senza bollicine, tanto che se ce ne fossero state, si sarebbero disperse nell’acqua che veniva subito usata per diluirli ; vi era infatti la credenza che il vino facesse male senza acqua, specie quello frizzante. In realtà, essendo più piacevole berlo puro, faceva solo subire forti ubriacature.
Nel 1152 Tibaldo Secondo il Grande, che regnò sulla Contea di Troyes, riuscì a riunire tutta la Regione sotto il suo dominio, creando un periodo di pace militare e benessere durante il quale fiorirono copiose importanti fiere locali, e vari commerci soprattutto tra la Francia, la Borgogna e la Lorena, frequenti erano anche gli scambi di merci e di vino tra il Mediterraneo e gli abitanti del Mare del Nord.
Nel 1362 la Champagne diviene poi parte integrante del regno di Francia sotto l’egida di Filippo il Bello.
La storia racconta di tanti sovrani e dignitari di ogni parte della Francia e d’Europa che giunti nella Champagne prendevano solenni sbornie tracannando grandi quantità di vini locali. Questi vini ebbero talmente successo che già nel 1412 l’enologia divenne l’attività principale a Reims e dintorni tanto da far nascere la figura dei “courtiers en vin”, una sorta di mediatori, con il compito di diffondere la fama dei vini della Champagne e fissarne il prezzo di vendita.
Durante tutto questo periodo, ed anche successivamente, i religiosi continuarono a coltivare la vite estendendo e incoraggiando la sua coltivazione in tutte le regioni ove si recavano, facendo inoltre su di essa vari esperimenti e studi interessanti.
La necessità di disporre di vino genuino, e possibilmente buono, per la celebrazione quotidiana della Santa Messa, contribuì enormemente alla espansione della viticoltura; i missionari, conquistando nuovi territori alla religione cristiana, favorivano l’impianto di nuovi vigneti per avere pronto il vino sul posto.
Fino al Due/Trecento, durante la messa, il vino era bevuto non solo dal prete, ma anche, e pare abbondantemente e con grande soddisfazione, da tutti i “numerosissimi” partecipanti al rito (il popolino non aveva vino, beveva acqua o al massimo birra, se e quando c’era).
I monaci dell’epoca cercavano di produrre vini di buona qualità e di avere buone rese unitarie, anche per accrescere le entrate dei loro ordini, il commercio del vino era, infatti, l’unico permesso dalle istituzioni della Chiesa.
E’ per questo motivo che numerosi “crus” francesi (Chateauneuf-du-Pape, Clos de Bèze, La Roche-au-Moines e tanti altri) hanno origine ecclesiastica.
Tra il 500 e l’anno 1000 anche la nobiltà contribuì alla diffusione e conservazione della viticoltura.
Bere vino all’epoca era espressione tangibile della dignità sociale; la nobiltà e le classi emergenti erano orgogliose di offrire nei banchetti i vini prodotti nei loro vigneti. Nel Nord Europa i vigneti venivano coltivati soprattutto lungo i fiumi, dato che il costo del trasporto su acqua era molto inferiore e assai meno pericoloso di quello su strada.
Molti Imperatori, Papi e Re acquistarono vigneti in questa regione, infine, col regno di Luigi XIV, il consumo di vino della Champagne crebbe e le esportazioni ebbero un nuovo e più importante impulso.
Come nacque e crebbe la sua fama (prima in Inghilterra, poi in Francia)
Con l’arrivo in Francia dell’esule Enrico VII Tudor la Champagne visse un periodo molto florido; la fama dei suoi vini conquistò gli inglesi a tal punto che a Londra alcuni commercianti iniziarono ad imbottigliare vino giovane, non rifermentato, proveniente dalla Champagne producendo loro poi, per primi, uno “Champagne effervescente”.
Ma come, dopo tutte le belle storielle che si raccontano su S. Remigio, sui monaci di Hautvillers e compagnia bella si apprende che lo Champagne (dopo lo “smacco” già subito dallo “spumantem” dei romani) come lo conosciamo oggi, fu una scoperta (o riscoperta) dovuta agli inglesi? Beh, in un certo senso sì e, addirittura, fu proprio il successo che questo nettare riscosse a Londra a convincere ed a spingere i francesi a cercare di duplicarlo e, possibilmente, a migliorarlo.
Si pensi che per indurre la rifermentazione utilizzavano qualsiasi mezzo, aggiungendo spezie, acquavite ed altre sostanze varie, come ci riferisce l’Abate Godino nel suo “manuale sul modo di produrre lo Champagne”, già pubblicato nel 1718 .
Così, già da una decina d’anni e prima che Dom Perignon entrasse nel convento di Hautvillers, gli inglesi erano riusciti a fare quello che poi la leggenda volle attribuirgli: produrre cioè vini con le bollicine aggiungendo zucchero al vino francese.
L’arcinoto Dom Pierre Perignon – di cui alcuni negano persino la presenza nella Champagne ed altri dicono fosse vegetariano convinto e addirittura astemio – fu nominato nel 1670 cellario dell’Abbazia di Hautvillers e fu qui che ebbe inizio il suo paziente lavoro di miglioramento qualitativo che riguardò sicuramente più i vigneti e la selezione delle uve, che il vino.
Pare addirittura che egli non amasse molto il vino frizzante e che, in un primo tempo, avesse tentato di tutto per evitare che il suo vino rifermentasse, ma senza mai riuscirci.
Il monaco di Hautvillers non fu sicuramente il primo e nemmeno il solo ad utilizzare il sughero, poiché vari documenti storici riferiscono che già prima lo si faceva a Limoux nell’Abbazia di Saint-Hilarie dove, tra l’altro, da tempo si producevano vini spumanti, lui fu però, concediamogli almeno questo, certamente il primo ad utilizzarlo usualmente.
Così come lo Champagne non può essere considerato come una geniale scoperta di un singolo, ma il frutto di costanti e progressivi sviluppi legati al lavoro di molte persone durante un lungo periodo storico, è a questo punto doveroso anche riconoscere al nostro Dom Perignon i propri numerosi meriti come, ad esempio, la sua grande conoscenza delle uve e dei vitigni.
Ed è proprio in base ai suoi approfonditi studi che comprese e concentrò gli sforzi sugli elementi più importanti che diverranno poi le basi della moderna enologia della Champagne: l’importanza della potatura – che egli voleva fosse fatta a fondo su piante che non dovevano superare il metro di altezza, in modo da avere poca quantità ma tanta qualità – il valore della selezione dei grappoli in vendemmia, della necessaria maturità delle uve, della pulizia e dell’ordine in cantina ; egli, ad esempio, non permetteva assolutamente che si pigiasse l’uva coi piedi, come si usava fare all’epoca.
Inoltre gli andrà riconosciuta certamente l’effettiva detenzione del primato nella maestria con cui imparò a mescolare le uve in percentuali idonee prima della pressatura e l’intuizione di abbandonare i vini “grigi” e dedicarsi alla vinificazione in bianco, separando raspi e bucce di uve rosse miscelate a seconda delle annate e della loro diversa provenienza.
Egli constatò che i vini bianchi, soprattutto quelli prodotti con le uve Pinot, avevano tendenza a rifermentare con il ritorno dei primi caldi primaverili. Mise quindi a punto una tecnica di ammostatura soffice ed iniziò a far fermentare il vino direttamente in bottiglia, riponendo queste ultime in profonde cantine interrate, cercando in questo modo di renderlo sì frizzante, ma anche di mantenerlo giovane e dolce.
Dom Pierre introdusse per primo il concetto moderno della Cuveé, cioè il saper assemblare mosti provenienti sia da uve diverse che da zone differenti ed anche da diverse fasi di torchiatura.
Si rese anche conto, sempre tra i primi, che la cantina interrata, con temperatura bassa e costante, era un fattore importante per evitare che le bottiglie esplodessero e siccome il sottosuolo della Champagne è costituito principalmente da banchi di “belemnite” (gesso di origine marina, materiale leggero ma assai compatto, l’ideale per cantine profonde senza rischi di crollo), fu facile scavarvi gallerie ove ricoverare poi le bottiglie.
Questi terreni, formatisi nell’era secondaria, furono sottoposti ad una successiva erosione che ha fatto emergere due ben definite linee di rilievi montuosi inclinati ad occidente (Coteaux de Champagne).
Già i Romani sotto la città di Reims scavarono enormi cave per estrarvi pietre da costruzione, così fu ovvio che queste venissero poi usate per affinare lo Champagne (come avviene ancora oggi).
Le bollicine, purtroppo…!
Il vero cruccio del nostro buon Dom Pierre rimase però quello di non essere mai riuscito ad impedire il formarsi delle bollicine, anche perché, fino ai primi dell’800, il vino in Champagne era comunque amato e venduto rosso e fermo, spesso molto dolce.
Alla fine del 17° secolo dunque, con l’aumento della produzione dei vini dello Champagne, la bottiglia comincia ad essere uno strumento ideale per la conservazione ed il trasporto del vino, oltre ovviamente a facilitarne la produzione; fino ad allora, il vino veniva venduto in grandi contenitori e poi imbottigliato direttamente dal consumatore.
I francesi, che all’epoca consideravano l’effervescenza come una prerogativa della sola birra, non avevano alcuna simpatia per i vini spumeggianti.
Solo quindici anni dopo la morte di Dom Perignon cominciò, seppur all’inizio molto lentamente, la commercializzazione del vino di Champagne sotto forma di spumante anche in Francia.
Molti courtiers en vin rendendosi conto dell’incapacità di quasi tutti i vignaioli dell’epoca di riuscire a produrre bollicine di qualità, decisero di sostituirli nella coltivazione delle vigne e, soprattutto, nella produzione del vino facendo di fatto nascere le prime grandi Maison dello Champagne.
Fondamentale fu anche l’intuito di Jean Godinot, che introdusse la legatura dei tappi al collo della bottiglia con uno spago, precursore delle successive gabbiette metalliche.
Ed ecco apparire l’altra importante invenzione, nata dal perfezionamento di pratiche precedenti, che contribuì alla diffusione dello Champagne, quella del “muselet”: la capsula metallica che, assieme alla tipica gabbietta in filo di ferro, trattiene il tappo delle bottiglie dei vini spumanti prodotti nel mondo intero.
L’idea e lo sviluppo dei primi prototipi fu merito di Adolphe Jacquesson, un produttore di Champagne di Chalon-sur-Marne, nella prima metà del 1800.
Risale, infatti, al 15 novembre 1844 la data di deposito del suo “Brevetto” di vari tipi di capsule in lamierino, fissate sulla parte superiore del tappo ed assicurate al collo della bottiglia con vari sistemi, i principali dei quali consistevano in una gabbietta di filo di ferro ritorto (anche se, come vedremo, qualcosa di simile era già stato usato).
Prima di ciò, con le legature a spago, la pressione interna faceva sì che la cordicella tagliasse il sughero e penetrasse nel tappo; si creavano così perdite di vino e gas facendo diminuire e scomparire quasi del tutto il caratteristico spumeggiare dello Champagne.
Altre volte succedeva che lo spago ammuffisse per l’umidità delle cantine, durante la fase d’invecchiamento, salvo che anche qualche topo non se lo rosicchiasse, quindi la corda s’indeboliva e poi si spezzava, liberando il tappo di sughero che veniva espulso dalla forte pressione interna con la conseguente irrimediabile perdita del vino.
Sin dai tempi di Dom Pérignon, quando fu messo a punto il primordiale metodo per la rifermentazione in bottiglia, ci si pose il problema della buona chiusura; è vero che si passò ai tappi di sughero che però, pur avendo una migliore tenuta, dovevano forzatamente essere fissati con delle cordicelle di canapa, annodate a mano per evitarne l’espulsione. A garanzia di una migliore tenuta, più tardi, alcuni negozianti aggiunsero allo spago uno o due fili di ferro ritorto.
Per rendere più facile l’apertura delle bottiglie, senza dover usare pinze, uncini o quant’altro, qualcuno (non ben storicamente individuato) ebbe l’idea di formare anche un anello sul filo di ferro ritorto, che poteva così essere rimosso facilmente. Spesso su questo anello era posto un sigillo di piombo, con impresa la parola Champagne o il nome e/o il marchio del produttore. Il lavoro per l’applicazione dello spago e del filo di ferro era però lungo, difficile ed assai costoso; si cominciò così a sagomare il fil di ferro in modo da facilitarne l’applicazione sui tappi e il fissaggio sulle bottiglie : era nata quella che noi oggi chiamiamo gabbietta, ovvero il nostro “muselet”.
Fu così che la forma originaria della gabbietta venne modificata nuovamente, lo spazio centrale diventò più grande per contenere la placchetta metallica ideata da Jaquesson, stampata con quattro scanalature perimetrali per poter ospitare i montanti, la stessa forma che oggi conosciamo e che da allora non è più stata cambiata.
Le bottiglie da champagne
Il primato è inglese, lo sfruttamento dell’idea è francese
Il primo Champagne creato, se ancora si potrà dire – cosa di cui, secondo le più recenti ricerche e rivelazioni – secondo i principi messi a punto da Dom Perignon si ebbe nel 1690; anche se i vini della Chamapgne erano già conosciuti, egli ebbe un vantaggio notevole rispetto ai suoi predecessori, infatti poté iniziare ad utilizzare bottiglie di vetro, una invenzione, come al solito, dell’inglese Kenelm Digby.
La bottiglia, infatti, non alterava il gusto del vino come succedeva con le botti di legno, e questo fu un importante elemento migliorativo per lo Champagne. Il nostro Perignon poi, memore di quello che facevano i romani con le loro anfore, per evitare che le bollicine fuoriuscissero, volle riadottare il sughero a chiusura delle sue bottiglie, poiché si rese presto conto che il cavicchio di legno avvolto nella stoppa imbevuta d’olio, come d’uso ai tempi, non era sufficiente a trattenere la pressione.
Bisogna sapere che i primi più importanti sviluppi della tecnica produttiva vetraria sorgono intorno alla metà del ‘600.
In concomitanza a tali nuove tecniche, in Inghilterra “nasce” il cristallo al piombo ed in Boemia il cristallo potassico; nasce soprattutto la vera bottiglia atta alla conservazione ed al trasporto delle varie bevande.
Nel 1615 Re Giacomo I° d’Inghilterra proibì l’uso della legna e relativo carbone nelle vetrerie, in quanto le foreste inglesi venivano drasticamente distrutte causa l’eccessivo utilizzo del legname, imponendo l’utilizzo del carbone minerale, dando il via indirettamente allo sfruttamento minerario industriale.
In Inghilterra nasce la prima vera “bottiglia da vino”; come detto, Sir Kenelm Digby la realizzò nel 1652 ma purtroppo non si preoccupò di brevettarla.
Pare invece che sia stata brevettata nel 1661 da John Colnett al quale va il merito di questo memorabile avvenimento, che fissa così la data storica della prima bottiglia da vino.
Tale bottiglia aveva la composizione in vetro, forte e pesante, mentre la struttura era a forma di palla con una base leggermente rientrante dando così stabilità.
Attorno al collo, qualche centimetro sotto l’imboccatura, era posizionato un anello di rinforzo del collo stesso a cui veniva legata la cordicella che bloccava il tappo di carta o pergamena pressata.
Nei successivi 30/40 anni, la bottiglia “allungò” il corpo mentre il collo diveniva sempre più corto per migliorarne la stabilità. Le bottiglie di allora erano preparate con vetro fuso a carbone di legno e rimanevano sempre comunque molto, troppo fragili.
In Francia l’arrivo dall’Inghilterra della bottiglia più pesante, pare abbia coinciso con le prime prove di produzione dello Champagne ad opera del nostro supercitato Dom Perignon (?), disperato per le rotture delle sue bottiglie che talvolta superavano il 95%; solamente verso i primi decenni del ‘700 però, si arrivò alla produzione di bottiglie con robustezza tale da resistere alla pressione dello Champagne.
All’inizio del 18° secolo, le Maisons francesi, compresE le aziende spumantistiche della Champagne, ma soprattutto di Bordeaux e Bourgogne, adottarono specifici formati di bottiglie che ancora oggi ne identificano le esclusive zone produttive.
Tornando ai primi del 19° secolo, riportiamo qui una curiosità: le bottiglie artigianali dell’epoca venivano lavorate singolarmente ed esclusivamente a mano, così non era possibile controllarne la capacità, per cui ognuna poteva contenere quantità di liquido diverse, a tal punto da creare imbarazzo nel commercio al momento del pagamento del relativo contenuto!
Poi col 19° secolo, la produzione industriale del vetro si divide in due grandi momenti:
i vetri di lavorazione artigianale della prima metà, ed i vetri lavorati con procedimento semiautomatico o quasi industriale, del secondo periodo.
Le bolle in gabbietta
Fino al 1728 il vino si continuò a vendere prevalentemente sfuso o in botti di legno, ma il giorno 8 Marzo del 1735 Luigi XV, Re di Francia, con un suo decreto sanciva, oltre a liberalizzarne il trasporto, che le bottiglie per lo Champagne dovevano pesare 28 once (contenuto circa 750 cl.) ed avere un tappo assicurato al collo della bottiglia da tre giri di spago a forma di croce.
Da allora lo Champagne a poco a poco conquistò tutti, dai nobili ai popolani, dai Re ai rivoluzionari, attraversando tutte le Corti d’Europa.
Ad esempio, dopo la caduta di Napoleone, il mercato russo diventò talmente importante che lo zar Alessandro II, nel 1876 acquistò per sé tutta la produzione dei Roederer, pretendendo solo bottiglie di cristallo.
Dalle 300.000 bottiglie prodotte nel 1780 si passò ai 20 milioni vendute nel 1900, e ciò nonostante il problema della fragilità dei vetri, che scoppiavano in numero considerevole; questo grosso problema fu risolto solo nel 1850 quando i vetrai inglesi Holden e Colent brevettarono, come precedentemente descritto, un nuovo tipo di vetro ancora più resistente di tutti i precedenti.
Nel 1805 Nicole-Barve Ponsardin, rimasta vedova di Francois Cliquot, cominciò a commercializzare un prodotto estremamente dolce: prima di spedire le sue bottiglie, toglieva il sedimento e riempiva il vuoto creatosi con una miscela sciropposa di vino, zucchero, alcol e brandy.
Ciò fu possibile per l’intuizione di un suo dipendente, Antoine de Muller, che inventò il sistema del “remuage” per eliminare il deposito che si formava nelle bottiglie. Prima di ciò si usava il “dépotage”, ossia il travaso in altra bottiglia che però faceva perdere grandi quantità di spuma.
Grazie a questo innovativo sistema il vino era assai più frizzante, piacevole e soprattutto limpido.
La produzione era, però, molto costosa: le bottiglie, come detto, non erano affidabili, e non venivano riutilizzate perché si credeva che la pressione le indebolisse.
Prima di usare il sughero, come chiusura delle bottiglie si preferiva usare altro: pergamena, carta, piombo, stoffa, cavicchi di legno e per molto tempo si usarono anche tappi di vetro smerigliati, fatti su misura per il collo della bottiglia; il sughero non veniva preso in considerazione (anche se già usato dai romani per chiudere le preso in considerazione (anche se già usato dai romani per chiudere le anfore), forse perché i sugheri all’epoca erano di cattiva qualità causando al vino il “sapore di tappo”, o anche perché si riteneva che il sughero, con la sua porosità, permettesse all’aria di penetrare e danneggiare il vino.
I tappi di vetro erano fatti in maniera da poterli legare alla bottiglia per la quale erano stati appositamente forgiati ed alla quale si adattavano perfettamente, ma furono gradualmente abbandonati perché troppo spesso era impossibile toglierli senza rompere la bottiglia.
Sta di fatto che dopo l’introduzione dell’uso permanente del tappo di sughero, l’anello posto sul collo della bottiglia verrà portato a livello dell’imboccatura per rinforzare questa parte della bottiglia stessa e per permettere una migliore presa della gabbietta di contenimento.
Le nuove bottiglie cosiddette “inglesi”, prodotte quindi dalle fornaci a carbone, non erano certo più trasparenti delle altre, erano più scure ma finalmente assai più resistenti; ciò favorì, ovviamente, la produzione massiccia dello Champagne.
Per estrarre i tappi, però, si dovette ricorrere ad un’altra “invenzione”: quella del cavatappi, così finalmente si poteva inserire nel collo della bottiglia il tappo per tutta la sua lunghezza ; bisogna tuttavia aspettare il 1681 per trovare la prima menzione storica di un cavatappi, che pare sia stato inventato da un certo reverendo Samuel Henshall.
All’inizio, per assicurare i tappi alla bottiglia, vennero fabbricate gabbiette semplici, con tre o quattro montanti, che formavano un quadratino o piccolo triangolo centrale, nella parte superiore. Le gabbiette erano posate direttamente sul tappo e sovente si inseriva una rondella metallica tra il sughero e la gabbietta per garantire una migliore tenuta.
Come detto Adolphe Jacquesson ebbe per primo l’idea di utilizzare una capsula in lamierino metallico fustellata e preformata, senza altre scritte se non anche in rilievo la parola Champagne. La soluzione si dimostrò ben presto vincente, poiché permetteva di fissare saldamente il tappo, di avere un’ottima tenuta, e di far assumere ai tappi una forma tondeggiante e regolare, inoltre era esteticamente assai valida e, volendo, si poteva decorare coi marchi delle varie Maison produttrici.
Da dolce a very dry
Il vino base della Champagne, all’epoca, non sempre era di buona qualità, i produttori più spregiudicati mascheravano l’inadeguatezza del prodotto con l’aggiunta di un’elevata percentuale di sciroppo zuccherino, visto che gli Champagne all’epoca piacevano dolci; Il tenore zuccherino arrivava a 165 gr./l. per la Francia e addirittura fino a 330 gr./l. per la Russia, mentre in Inghilterra era di soli 22-66 gr./l..
Spesso lo Champagne veniva servito, come si diceva all’epoca, “frappé”, cioè quasi completamente congelato alla stregua di un sorbetto e assai spesso era colorato artificialmente con bacche di sambuco; ciò giustificava l’uso delle “coppe” larghe e poco profonde.
Il gusto troppo dolce relegava però lo Champagne, al solo uso come vino da dessert o da fuori pasto; soltanto a partire dal 1850 si avranno le prime produzioni (all’inizio con scarso successo) di champagne secco.
Comunque sia, salvo rarissime eccezioni, durante tutto l’Ottocento ed i primi del Novecento, ovunque in Europa si assistette al grande trionfo della gastronomia e dei vini francesi.
E’ nel 1776 che il chimico Antoine Laurent Lavoisier scopre che le bollicine sospese nelle bottiglie dello Champagne altro non sono che “acido carbonico”.
Quindi arriva la scoperta forse più importante: nel 1859 il fisico Louis Pasteur individuò, grazie all’uso del suo microscopio, i microrganismi autori della trasformazione degli zuccheri in alcool e gas, cioè della rifermentazione: i saccaromiceti, che sono funghi unicellulari, costituiti da cellule sferoidali, talvolta presenti anche in forme filamentose.
Questi si moltiplicano per mezzo di gemme che si accrescono progressivamente fino ad assumere la forma di un individuo completo che si staccherà dalla cellula madre nel punto in cui in essa si genererà una strozzatura.
Queste cellule operano in ambiente privo di ossigeno e per nutrirsi utilizzano le sostanze organiche o zuccherine presenti, traendole anche dai residui di altri organismi.
Dopo queste prime importanti scoperte si potè finalmente capire cosa avveniva durante la lavorazione del cosiddetto Metodo Champenoise; prima di allora, infatti, non avendo alcuna nozione di questi fenomeni, non si aggiungevano al vino, come di norma al giorno d’oggi, zucchero e lieviti in percentuali ben stabilite, per indurre e controllare la prima e la seconda fermentazione.
I produttori, infatti, attendevano la primavera per veder riprendere naturalmente la fermentazione, lo zucchero si aggiungeva alla sboccatura solo per correggere eventuali difetti e l’alta acidità, ma soprattutto per mantenere il vino dolce. Questa pratica allora era considerata in un certo qual modo fraudolenta e si pensava fosse anche assai pericolosa per la salute.
Ed ecco apparire nuove interessanti invenzioni: nel 1836 André François crea il suo “sucreoenométre”, uno strumento che può misurare la quantità di zucchero prima e dopo la fermentazione; nel 1818 Antoin de Muller, cantiniere di Veuve Cliquot, inventa anche le pupitre, oggetti utili per rimuovere dalle bottiglie i residui della fermentazione e rendere limpido il vino.
Nel 1848 il commerciante di vino inglese Burners chiese alla Maison Perrier-Jouet di fornirgli uno spumante secco, pensando che si sarebbe potuto così bere anche durante i pasti.
Dopo vari ripensamenti la Perrier-Jouet, alla fine, aderì alla richiesta, con grandi attese, ma senza ottenere il successo sperato. Purtroppo il mercato non era ancora pronto, i consumatori per troppo tempo erano stati abituati al gusto dolce del vino; inoltre uno spumante secco avrebbe costretto i produttori ad una lunga sosta del vino in cantina per smorzarne la rudezza che, se non controbilanciata dallo zucchero risultava all’epoca assai sgradevole, con conseguente pesante immobilizzazione dei loro capitali.
Burners però, convinto che prima o poi uno spumante secco avrebbe avuto successo, fece un secondo tentativo con la Maison Louis Roderer da cui ottenne però risposta negativa.
Nel 1860 le richieste dall’Inghilterra furono inoltrate ad altre diverse Aziende con esiti altalenanti; solo nel 1865 la Maison Bollinger spedì a Londra una partita di Champagne “very dry” ottenendo un discreto risultato, così da allora le richieste furono sempre maggiori e le vendite migliorarono sempre di più.
Nel ‘900 arriva un’altra importantissima scoperta: il botanico Emil Chreistian Hansen riesce a riprodurre i lieviti in colture di laboratorio, così da poterne selezionare i ceppi migliori da usare per la rifermentazione, ciò darà inizio alla nuova era delle grandi produzioni dello Champagne.