Sto pregustandomi la serata che andrò a vivere a momenti mentre parcheggio la mia auto in Via dei Mille a Torino. Passeggiando percorro Via Andrea Doria e raggiungo Via Carlo Alberto dove ha sede lo storico Grand Hôtel Sitea datato 1925. Storico e prestigioso, un simbolo della città in cui vi hanno soggiornato personaggi famosi del mondo della musica, dello sport, della letteratura.
Mancano pochi giorni a Natale e l’atmosfera all’interno è ancora più calda e accogliente. Mi attendono degli amici, dei colleghi, la cucina dello chef stellato Fabrizio Tesse e i vini di una giovane cantina, l’Autin, che ha i suoi vigneti a cavallo tra le Provincie di Torino e di Cuneo.
Giovane, perché la sua avventura è iniziata solo nel 2010, ma con le basi già impostate per un interessante futuro. A dare vita al progetto enologico i cugini Mauro Camusso e Pier Giorgio Gasca, che purtroppo oggi non è più con noi. Una scommessa, anzi, una sfida da affrontare su terreni dalle condizioni pedoclimatiche non così scontate per la coltura della vite, soprattutto se oltre alle uve a bacca rossa ci si cimenta anche con le bianche di carattere internazionale e autoctone.
Ma se è vero che le componenti fondamentali per produrre un buon vino sono: il vitigno, il terreno, il clima e il lavoro dell’uomo, non possiamo tralasciare un altro elemento: il piacere del fare anche dove è più difficile. Sette ettari di vigneto dislocati sulle due provincie con una varietà di terroir che spazia dall’origine morenica alluvionale al sabbioso e ghiaioso per poi arrivare all’argilla. Anche il clima non è uniforme, più mite e temperato nella zona del Comune di Barge più freddo e con elevate escursioni termiche a pochi chilometri di distanza nei Comuni di Campiglione e Bibiana. E grazie a queste differenze che si possono bene alternare le colture tra le uve rosse e quelle bianche.
La serata ha inizio. CI accomodiamo ai quattro grandi tavoli che sono stati a noi riservati. La “mise en place”, chiaramente natalizia, riscalda ulteriormente il gradevole momento. La prima uscita dalla cucina, appetizer di benvenuto, e un Eli Brut Rosé Metodo Classico aprono le danze. I vigneti della cantina vengono coltivati secondo la certificazione “bio” proprio dall’ultima vendemmia 2019, intervenendo solo in casi estremi ma con tecniche esclusivamente meccaniche e biologiche. La vendemmia si effettua rigorosamente a mano e le pratiche di intervento, pur essendo all’altezza dei tempi di oggi, richiamano il forte legame con il passato e le tradizioni tramandate dalle vecchie generazioni.
Arrivano ai commensali gli altri piatti firmati da Tesse ai quali vengono abbinati i vari vini prodotti dalla cantina. Assaggio due bianchi fermi: il Cupa d’Or (Sauvignon 100%) e il Verbian (Bian ver 100%). Il Bian ver è un antico vitigno un tempo diffuso in Francia in Savoia e Vallese oggi quasi del tutto scomparso in territorio transalpino ma che ha trovato invece un buona dimora nella area italiana della Val Chisone in provincia di Torino. Ai due vini vengono abbinati un carpaccio di baccalà all’albese e un risotto Carnaroli al topinambur con gocce di leggera bagna caoda. Il Verbian in tutta sincerità mi piace molto, lo trovo aromatico e delicato e sono contento che gli amici dell’Autin abbiano deciso di lavoralo e valorizzarlo.
Non assaggerò tutte le etichette della cantina ma nel degustare i vini che mi vengono serviti e nel chiacchierare con i collaboratori di Mauro Camusso non è difficile comprendere che la loro attività, attenta e accorta, rispetta le regole ferree della natura; il sapere attendere i cicli, i ritmi, le differenze pur similari tra le varie annate. C’è quel rispetto misto all’amore per la vigna, per il lavoro, per una terra dove da secoli si coltiva amando quegli acini generosi.
Il piatto che segue richiama la cucina tradizionale piemontese con la dovuta rivisitazione adeguata alla serata: il cappello del prete cotto a lungo nel ReNero (un vino dell’Autin di cui vi parlerò a breve) arricchito da chips di radici amare e una composta di patate e nocciole. Attenzione a non confondere il cappello del prete piemontese, per il quale si utilizza carne bovina (il muscolo della spalla), con quello emiliano per il quale si adoperano carni di maiale.
Alla ricetta viene abbinato l’ultimo nato in cantina: il ReNero, ovvero un Pinot nero (Piemonte Doc) affinato per almeno sei mesi in barrique di secondo passaggio. A completare il nostro incontro una bavarese al mascarpone con zuppetta di panettone alla quale si accosta una Malvasia moscata, un bianco passito denominato Passi di Gio in memoria di Pier Giorgio Gasca.
L’Autin, la giovane cantina, produce anche Il Pellengo (Riesling 100% – Bianco), il Rubellus (assemblagio uve autoctone – Rosato), il Pinerolese Rosso Finisidum (assemblaggio uve autoctone – Rosso), il Pinerolese Bonarda Gemma Vitis (Bonarda 100% – Rosso), il Pinerolese Barbera El Merlu (Barbera 100% – Rosso) e il Eli Brut Metodo Classico (Pinot nero, Chardonnay, Bian ver – Spumante bianco).
La Valle Chisone e la Valle Germanasca distanti pochi chilometri sopra la città di Pinerolo sono state nei secoli territori importanti per l’estrazione dei marmi e, in tempi più recenti, per la grafite e il talco. Il talco, quello che veniva chiamato l’oro bianco, ancora negli anni 60 dava lavoro a più di mille persone e dei suoi rilevamenti si hanno notizie già alla fine del 700. Una storia lunga e affascinante di un elemento che troviamo quotidianamente nella cosmetica, nella cipria in particolare, nelle vernici, nelle auto. Oggi le cose sono purtroppo cambiate ma a ricordo di quel celebre passato le bottiglie di Eli Brut Rosé Metodo Classico portano al collo una bustina contenete un pezzetto del pregiato talco.
Una sfida ho detto e una sfida è veramente, e lo sarà ancora per i prossimi anni, ma anche una scommessa dalle basi solide per una nuova realtà dell’aerea di produzione del Pinerolese Doc.