Ma chi è fuori di testa, lo è solo quando guida?
E va bene. Si vuole che non si guidi più dopo che si è mangiato e bevuto? Vuol dire che, dato che non potremo farlo… non lo faremo più. Non riesco neppure a sperare, vista l’aria che tira in questo periodo, che dalle stanze del potere arrivi un po’ di buonsenso in proposito. Ma la cosa decisamente più avvilente è che non ho più fiducia nemmeno nella gente ossessionata dalle varie fobie indotte che vedo muoversi attorno a me.
Quando la redazione de La Madia si è cercata l’alcol nelle vene, pochi giorni fa in definitiva, a questa nuova bella proposta nessuno ci aveva ancora pensato. E dire che ricorreva proprio in dicembre il 75° l’anniversario del ventunesimo emendamento che, nel dicembre del 1933, aveva liberato gli Stati Uniti dai gangsters del proibizionismo. Ora non ci manca altro, stando ai paralleli storici più consolidati, che un bel numero di anni di disperazione maccartista.
Ma, dico io, se tutti i riferimenti di quanto siamo fuori di testa in questo Paese si fanno nei confronti dell’automobile, nessuno si chiede che razza di vita conduciamo quando non siamo al volante?
Non interessa ai nostri amministratori pubblici, alle istituzioni religiose e alle famiglie la reale percezione del presente che – stando alle tabelle sanitarie più in voga – figli, mariti, amanti, nonni e vicini di casa ancora riescono a conservare?
Con chi posso confrontarmi io se, dopo cena, mio marito “dimostra continui cambiamenti di umore, ha la nausea, la sonnolenza e, come se non bastasse, si trova in un pericoloso stato di eccitazione emotiva” come recita la tabella dei principali sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica che si possono leggere in tutti i locali pubblici?
E lui, anche lui poverino, come può pensare di fare discorsi seri con una moglie che dopo la correzione del caffè, bene che vada, “dimostra una decisa riduzione delle capacità di giudizio, ha i riflessi alterati, il vomito, e la perdita della percezione del rischio?” Ma come si fa nelle famiglie a mettersi d’accordo su chi paga le bollette, su cosa si mangia il giorno dopo, cosa rispondere al telefono agli anziani genitori, dove e come andare a lavorare, fare programmi per il futuro?
Tutto questo con un livello di alcol nel sangue corrispondente ad un paio di bicchieri di vino e una grappa. Figurarsi quando arrivano parenti o amici e le case si riempiono e le cene durano ore. In questo caso tutti parlano senza sapere cosa dicono e nessuno ascolta, qualcuno vomita, altri dormono, il nonno ha le allucinazioni, la nonna si illibidinisce, i bambini scappano da tanto ludibrio ma per le scale incontrano gli stravolti del piano di sotto e per loro è finita.
Accade tutto questo in casa vostra? Da noi, almeno per il momento, tutto bene come al solito.
Forse perché quel beone di mio padre mi inceneriva con gli occhi se mi comportavo in modo sconveniente a tavola.
In perfetta sintonia con la sua sodale e avvinazzata consorte che ha sempre preteso che usassi tutte le posate, dicessi grazie quando era il caso e prego quando era il momento di dirlo. Un goccino di spumante me l’hanno versato nel bicchiere per brindare in occasione di un Natale in cui credevo ancora che i regali scendessero dal camino: è proprio vero che quando cominci non riesci più a smettere. Io le cattive compagnie non sono riuscita ad evitarle perché ce le avevo in casa: cercate di comprendermi.
Mi portavano anche a pranzo fuori, la domenica, con la vecchia millecento bicolore di cui ero particolarmente fiera: non ci legavamo ai sedili, eravamo tutti ebbri e privi della visione laterale, delle inibizioni ce ne fregavamo, eravamo emotivamente scossi, vomitavamo sempre, ma eravamo tanto contenti.
Altri tempi. Tempi andati. Roba da educazione sentimentale e rispetto per gli altri. Ora è più comodo: ci facciamo le leggi e non stiamo a perdere tempo con tutti questi fronzoli!
Le leggi ce le facciamo da soli: prima ci dicono che ne abbiamo bisogno, poi ce ne parlano tutto il giorno alla televisione, lo scrivono su tutti i giornali, ci impauriscono finché non le chiediamo… e allora ce le danno. In fin dei conti è anche piuttosto conveniente: abbiamo sempre quello che ci serve!
Ma non pensiate che sia così soltanto da noi.
In Francia, tra legge Evin, campagne antialcol e demonizzazione della pubblicità, il vino lo bevono ormai soltanto gli stuntmen: per tutti gli altri sembra che sia diventato pericoloso. Un recentissimo sondaggio condotto dal Credoc (centre de recherche pour l’étude et l’observation des conditions de vie) ha reso noto che per il 51% dei francesi il vino “presenta rischi o implicazioni negative per la salute”. A pensarla in questo modo, soltanto quattro anni fa, erano 26 francesi su cento. La paura, quindi, cresce. A tal punto che le preoccupazioni che riguardano alimentazione e salute sembra diventino parossistiche quando la parola vino viene sostituita con quella ancora più temuta: alcol.
Che fine faranno il paradosso francese, gli chateaux de la Loire, i bistrot, le petites cages, il cancan e la vie en rose non l’hanno detto, ma pare che attualmente interessino loro davvero poco.
Anche in Spagna stanno con le orecchie dritte quando si parla di vino. Qui è stato varato il Codice di Autoregolamentazione del Vino che dal primo gennaio obbliga tutte le imprese aderenti alla Federacion espanola del vino ad applicare “corrette pratiche in materia di pubblicità dei propri prodotti e a promuovere il consumo corretto e moderato”. Il nuovo codice, vigilato dalla società Autocontrol, attua le disposizioni contenute nel progetto europeo “Wine in moderation” dello scorso anno a cui hanno aderito tutte le associazioni dell’industria delle bevande alcoliche europee, Italia compresa, e che si inscrive nella strategia di lotta dell’Unione Europea all’abuso dell’alcol lanciata nel 2006. In sostanza, il codice spagnolo prevede una ferrea disciplina per quanto riguarda l’aspetto comunicazionale, imponendo messaggi equilibrati e corretti e impedendo al contempo che il prodotto si rivolga ai minori, a chi guida l’auto e a chi è presente sul luogo di lavoro. Vietatissimo, ovviamente, attribuire al vino connotazioni sanitarie positive o proprietà terapeutiche, psichiche e sessuali. Predicata la moderazione, consigliata l’astensione.
Insomma, che ne sarà delle mie abitudini alimentari non sono in grado di dirlo. Però non posso proprio pensare di essere sobria per decreto, sia che guidi o che al volante ci sia un’altro. Non so nemmeno se riusciremo, come civiltà, a vincere le nostre angosce. Ma questo, anche se c’entra anche il vino, è un discorso molto più complicato.
L’intervento del presidente dell’uiv Andrea Sartori sulla proposta d’abbatimento del tasso alcolemico.
Si ad un impegno allargato
no a scelte proibizionistiche.
“Da tempo l’imprenditoria vinicola è impegnata attivamente, con forti investimenti, sul fronte della qualità, guidando di fatto un cambio culturale che è riuscito a spostare i consumi su prodotti che necessariamente richiedono un approccio più maturo; il vino non si beve per trangugiare alcol e sballare ma per piacere, per gustare profumi e sapori, per allargare le proprie percezioni e la propria sensibilità, magari su territori e ricordi”.
Queste le considerazioni del presidente dell’Unione Italiana Vini, Andrea Sartori, a commento della proposta di legge di abbassare da 0,5 a 0,2 gr/l il tasso di alcolemia nel sangue per il guidatore.
“Anche sui giovani – ha precisato Sartori – sono state fatte importanti campagne di sensibilizzazione orientate al bere bene, basti pensare alle tante iniziative di Agivi (Associazione giovani imprenditori vitivinicoli italiani). Significativo anche il nostro impegno nel programma europeo Wine in moderation e nell’Osservatorio permanente giovani e alcol. Il risultato di tutto questo è stato un avvicinamento consapevole e curioso al vino, oggi sempre più presente nell’accompagnare anche cibi semplici e quotidiani, riconquistando faticosamente sulle tavole la posizione che merita”. La stessa contrazione costante dei consumi in Italia – dagli 80 litri pro capite degli anni Ottanta agli attuali 46 – di fatto è la conferma di un loro riorientamento verso la qualità. “Oggi tutto questo rischia di essere demolito – prosegue il presidente dell’UIV – perché demonizzando qualsiasi bevanda alcolica saranno proprio questi consumatori più sensibili ad allontanarsi dal prodotto e non certo i navigati dello sballo. Insomma, oltre al danno la beffa”.
Su un problema sociale di simili dimensioni, additare l’alcol come unica causa appare decisamente riduttivo alla più rappresentativa organizzazione di settore. “Ci si potrebbe chiedere come mai – si domanda Sartori – in un Paese dove il limite massimo è fissato a 130 km orari vengano costruite e importate automobili che possono tranquillamente viaggiare a velocità nettamente superiori. E ancora, visto che proprio la velocità è uno dei maggiori fattori di rischio, ci si potrebbe anche chiedere come mai ai neopatentati e ai ragazzi in generale venga concesso di guidare di tutto, indipendentemente dal fatto che poi alzino il gomito in discoteca”. A questo proposito per l’UIV è decisamente più ragionevole la scelta della Germania: tasso zero per i ragazzi al di sotto dei 21 anni e per i neopatentati (due anni dal rilascio della patente).
“Infine – continua il discorso Sartori – perché i controlli di polizia sono a macchia di leopardo, concentrati in alcune regioni e praticamente assenti in altre? In Italia i controlli sono pari a un decimo di quelli effettuati in Francia e a un terzo rispetto alla media europea. Inoltre, come si può pensare che con un tasso a 0,2 si guidi meglio rispetto al valore di 0,5? Non è un caso che in Inghilterra, con un tasso a 0,8 e controlli seri, gli incidenti siano sensibilmente diminuiti.
“Il mondo del vino vuole dare un proprio contributo a costruire una società più responsabile – conclude Sartori – ma è un impegno che va allargato e condiviso. Un problema tanto drammatico non può trovare come soluzione un divieto di fatto assoluto ed esteso nella logica fallimentare di una società neoproibizionistica”.