L’incanto caraibico: la storia affascinante di isole che hanno fatto dell’ambiente, del cibo e della sostenibilità il loro vessillo.
Come espressione culturale, la gastronomia è uno dei settori in cui le contaminazioni possono essere meglio rappresentate.
In cucina sovrapposizioni e influenze alloctone hanno convissuto nel tempo senza dissidi, adattando e anzi accogliendo modelli estranei alle consuetudini locali e sostituendo un ingrediente con un altro con naturalezza.
Gli ingredienti infatti vanno e vengono in continuazione anche in ricette apparentemente codificate da secoli. Emigrano come clandestini, rimangono nascosti per molto tempo, cadono in disuso per poi essere ripescati in ciclici periodi storici.
I Caraibi rappresentano una fonte primaria di elementi fusion nella cultura gastronomica americana. Fin dal suo arrivo in America nel XVI secolo la popolazione nera ha lavorato nelle piantagioni di zucchero, di banane e nelle attività minerarie; nei secoli successivi i discendenti di questi immigrati sono stati impiegati come contadini o come domestici per le famiglie più importanti nelle zone urbane.
Fatale quindi la mescolanza di usi e abitudini il cui impatto è stato tale che quella di origine caraibica è considerata oggi la terza grande etnia degli States. Molte cittadine hanno oggi solo popolazione discendente da africani.
Ma quali sono le abitudini alimentari dei Caraibi? Ancor oggi si possono intravvedere le tracce profonde di quanto è rimasto dalle origini.
Da sempre definiti come un paradiso terrestre corroborato dalla bellezza del paesaggio, delle piante esotiche e dalla varietà di frutta e uccelli, i Caraibi sono composti da oltre 7.000 isole che splendono come gioielli e che si distribuiscono su circa 4.000 chilometri tra la Florida e le coste colombiane. Dalla fusione tra piatti aborigeni, tra ricette portate dagli africani, tra consuetudini importate dalle migliaia di immigrati orientali, francesi, olandesi e inglesi, è nata una lussureggiante, tipica e accogliente cucina caraibica nella quale spiccano i sapori forti e invitanti delle carni, della frutta e delle verdure, mischiati tra loro come se un uragano di confluenze diverse unisse i migliori e i più colorati sapori e aromi del mondo.
Tra i gustosi frutti ci sono la guava, l’ananas, il cocco, il mango, le banane, la papaya, l’avocado, la guanabana, gli anones e gli anoncillos. Dalla maggior parte di questi frutti si ricavano bibite, frullati e dolci che sciolgono i sensi. La cultura gastronomica locale è dovuta tuttavia unicamente alla tradizione orale, poiché non ve ne è alcuna testimonianza scritta.
Ogni volta che, nel tempo, un cuoco moriva, con lui se ne andavano quasi tutti i segreti culinari e persino la conoscenza di seminare e di elaborare determinate piante.
Eppure oggi le ricette, salvate via via dalle mani delle antiche cuoche, delle schiave o semplicemente dalle nonne, si sono perpetuate in una sorta di memoria storica collettiva, che si articola tra un’isola e l’altra come il filo conduttore di un reticolo più ampio, al quale si ascrive ciò che oggi è definita “gastronomia caraibica”. Esistono dunque piatti classici delle famiglie abbienti e altri della cucina casalinga, in ogni caso tutti con uno stile prettamente locale.
L’oke, ad esempio, è uno stufato di carne, pesce o frutti di mare, che viene cotto a fuoco lento fino a diventare una salsa densa. È accompagnato da un purè duro di igname che nasconde al centro la salsa.
Il dukunús invece è un tamal, dolce dalle influenze africane, chiamato anche blue dress. In Giamaica si fa con farina o purea di patate dolci o igname, avvolto in foglie di banana e cotto a vapore. La leggenda popolare dice che esisterebbe addirittura un albero che dà il dukunùs. Questo piatto è simile al chickwange del Congo, con la differenza che quest’ultimo è fatto con purea di banana o manioca. Assomiglia anche al kenki del Ghana, che è composto da polpette di farina di mais avvolte in tozzi di elote e poi cotte al vapore.
Un altro tamal molto simile è il tie-a-leave o taya-lif di platano verde o farina di mais e latte di cocco.
Anche per realizzare buoni bicchieri ci sono ingredienti ad hoc: il guayabo o guarapo, a seconda che si tratti di un vino fatto con riso o canna (gli antillani chiamano quest’ultimo cane-liquor), è il risultato del succo di canna colata che, nella tradizione, veniva sotterrato per fermentarlo. Con i pezzetti di canna da zucchero e lievito si faceva il vino di canna: questi elementi venivano messi a riposare sotto terra per nove giorni e dopo due settimane si poteva finalmente imbottigliare il liquido risultante.
Il vino di riso veniva invece utilizzato per le occasioni festive. Al grano venivano aggiunte fritture secche, cannella, scorze di limone e arancia acida. La sua preparazione ha un che di rituale, perché la buccia del limone veniva rimossa, nella tradizione, la prima settimana e quelle dell’arancia la terza.
Ci sono altre bevande rinfrescanti che ancora oggi si combinano con le tradizioni più moderne. Una delle più tipiche è quella fatta con le foglie di sorrel o yokua, che viene utilizzata anche per sostituire l’aceto o il limone per condire verdure o insalate.
Con il sorrel, oggi conosciuto come rosa giamaicana, si fanno marmellate, gelatine e vini. Anche la birra allo zenzero è molto popolare specie durante il tipico Natale di Saint Kitts, Trinidad e Tobago, anche se qui veniva aggiunta la farina di grano. Dall’Africa occidentale si mantiene anche la tradizione delle bevande di infusione o tè con la citronella (zacate de limon). Il sorosis (momordica charantia) è una foglia simile al coriandolo che da origine a una bevanda amara che può anche essere tossica se non si rispettano certi equilibri. In Giamaica è chiamata ghana.
La gastronomia di Curaçao, che nella lingua locale significa “cuore” e che è patrimonio dell’Unesco, è una delle più conosciute. Quello considerato il piatto nazionale è lo stobá che consiste in uno stufato preparato con papaya e manzo o capra; c’è poi il kadushi o zuppa di nopale; il keshi yená che è una grande porzione di formaggio gouda ripieno di pollo, pesce o verdure, e la zuppa o stufato di iguana.
I dolci tradizionali includono il panseiku, che è una pralina di arachidi tostata con essenza di mandorle e il bolo pretu, una torta nera con scorza di limone, uvetta e prugne secche. Il celebre liquore di Curaçao, è elaborato con le cortecce amare del frutto dell’albero laraha, simile all’arancia ma con un sapore molto più amaro.
L’INCANTO CARAIBICO: IL LATO VIP DEL SINCRETISMO
Accanto ai fornelli locali, si sono inserite anche esperienze di alto livello. Con il turismo più raffinato che va sempre alla ricerca di possibili paradisi esotici, oltre agli alberghi di lusso sono stati creati ristoranti che, all’inizio, hanno cercato di portare i menù europei nei loro piatti, fino a quando, ancora una volta, ha vinto il mix locale.
Dino Jagtiani è diventato il primo chef, nato a St. Maarten, a laurearsi al Culinary Institute of America nel 1994. Nel 2002, dopo aver lavorato a Le Meridien Waldorf, 5 stelle a Londra, Dino è tornato a St. Maarten per aprire Temptation, che è stato proiettato in cima alla dinamica scena gastronomica dell’isola, vincendo il premio “Best High End”.
Nel febbraio 2005, la rivista Bon Appetite ha definito Temptation “uno dei 10 migliori nuovi ristoranti dei Caraibi”, per due volte anche vincitore della medaglia d’oro al Taste of the Caribbean a Miami FL, e detentore della Copa de Cocina del Caribe San Pellegrino, aprile 2015, ad Antigua.
Nel settembre 2017 l’uragano Irma ha lasciato dietro di sé un’imponente distruzione in molte isole caraibiche, tra cui St. Maarten, causando notevoli danni al ristorante Temptation.
Ora Jagtiani è a capo delle cucine presso il Belmond La Samanna: ”La sfida più grande per uno chef è soddisfare tutti. – racconta – Cerco quindi di trovare quel magico equilibrio di sapori dolci, salati, acidi, piccanti e amari creando menù in sintonia con lo stile cosmopolita del ristorante.
La nostra cucina è in continua evoluzione. Modifichiamo frequentemente i nostri menù per stare al passo con le tendenze e infondere nuove idee al team. Oggi, mangiare sano e sostenibile non è solo una tendenza sempre più diffusa, ma uno stile di vita che è arrivato anche nei Caraibi. Teniamo conto di queste esigenze quando creiamo nuovi menù”.
La più recente novità è la pesca locale del giorno, servita con mousse di zucca, curry di cocco e salsa di mango. E c’è anche l’”hot ‘n’cold soup”, che consiste in un gazpacho di pomodoro freddo e una zuppa calda di fagioli neri in stile cubano, servita fianco a fianco nella stessa ciotola. Lo chef inglese di Necker Island, Steven Hill, è il creatore di uno dei menù più esclusivi dei Caraibi grazie all’isola privata del miliardario proprietario dei Virgin Hotels, Richard Branson, per il quale cerca di stabilire un equilibrio tra tendenze all’avanguardia e gestione culturale delle origini. Imperdibili sono i suoi piatti a base di aragosta, i ravioli ai gamberi e il suo classico barbecue sul mare, composto da una combinazione caraibica di hamburger e frutti di mare. Memorabili anche le sue location, in quanto lo chef assicura di saper cucinare in qualsiasi posto e situazione: nella più abituale Beach House, o su un tavolo di legno gigante o con i piedi nella sabbia. La grande attrazione è mangiare sushi e sashimi in una canoa che arriva galleggiando in piscina, a pochi passi dal mare.
Hill afferma che Necker Island ha una particolare attenzione alla promozione di una vita sana, con personale preparato sulle tecniche di cucina più salutari con una selezione di piatti a base di piante.
“Cerchiamo di sostenere l’economia locale, quando possibile, – afferma- lavorando con pescatori e agricoltori locali per garantire che i prodotti provengano dal chilometro zero e dalle isole caraibiche vicine, riducendo la necessità di importare beni di altre regioni e, inoltre, nell’intento di dar vita a una gastronomia identitaria che, sebbene in continua evoluzione, sia profondamente radicata nelle sue origini”.
Tra le innovazioni locali si sono trovati modi sostenibili per coltivare le proprie erbe. Uno dei nuovi fornitori nella vicina isola di Tortola è Full Belly Farm, che si è specializzato in frutta e verdura di grande qualità e gusto, coltivate naturalmente nella zona. Necker Island riceve una scatola mista settimanale di prodotti freschi composti da una selezione fatta casualmente con il raccolto del periodo, che invita gli chef a sfidarsi con nuovi ingredienti locali da offrire agli ospiti.
Un altro fornitore è Agri-Paradise di Virgin Gorda, che produce un’incredibile varietà di insalate idroponiche e microerbe. Utilizzando la creatività del luogo, qui sono stati convertiti alcuni contenitori di stoccaggio in giardini coperti dove si producono meloni, zucche e cetrioli, tutti fuori dalla portata delle iguane.
Dopo anni di tentativi per trovare un caffè di qualità, una soluzione ora arriva direttamente dal fornitore biologico Caribbean Mountain Coffee. L’isola ora imballa anche il proprio caffè in contenitori compostabili.
DI TRADIZIONI E TENDENZE
A soli 30 minuti da St. Martin e altrettanto da St. Barth, emerge la perla dei Caraibi che, ancora poco visitata, sta diventando la nuova attrazione di tendenza. Si tratta di Anguilla. Non solo possiede la sua quota di paradiso nel paesaggio, ma riesce a trasportarne la suggestione in una cucina identitaria, trasformandosi così nella capitale culinaria dei Caraibi. Con uno stile definibile come “solare”, la gastronomia di Anguilla è colorata, traboccante di sapori, colori e contenuti originali. “Beach BBQ and Basket Battle”, che si svolge presso l’Anguilla Great House Beach Resort di Rendezvous Bay, è un evento classico che ha luogo ogni mese di maggio. Qui si riuniscono i maestri del barbecue dei ristoranti Tasty’s/POV, Paper’s Barbeque, Roy’s Bayside Grill e Anguilla Great House per servire pesce fresco, costolette e i tradizionali Johnny cakes e molto altro. All’interno di Cap Juluca spiccano tre attrazioni imperdibili.
“Pimm” è il luogo più romantico dei Caraibi: un ambiente pensato senza pareti, che costeggia una scogliera con arcate che lasciano entrare l’aria di mare, offre solo proposte di ingredienti locali e, sempre, la sua pesca del giorno, fresca come nessuna.
I menù dello chef britannico Andrew Gaskin, tra cui capesante e piselli in olio di zucca e zuppa di aragosta con dolci Johnny di alghe, sono ricchi di richiami alla tradizione caraibica.
“Uchú”, all’interno del Belmond Hotel, offre un’idea credibile di cucina regionale combinata con piatti tradizionali peruviani.
“Cip’s” si ispira al ristorante veneziano Cipriani e propone una cucina italiana classica, ma con il taglio ineguagliabile conferito dall’uso dei prodotti caraibici.
Questa parte del mondo vanta pertanto un’indubbia personalità. Quanto dichiarato da Jagtiani vale per tutte le isole della zona: “Abbiamo più di 100 diverse nazionalità da tutto il mondo che vi sono rappresentate in soli 37 chilometri quadrati.
Solo nella cucina di La Samanna annoveriamo collaboratori con radici ad Haiti, Giamaica, Italia, Repubblica Dominicana, Francia, Inghilterra, India, Colombia, Spagna, Guadalupa, Martinica, Austria, Curaçao e Monaco. Tutti portano con sé la loro ricca storia e cultura. Sono convinto che in nessun altro luogo al mondo un ospite possa gustare delle tradizionali linguine alle vongole cucinate da un haitiano, o un curry di frutti di mare con riso creolo preparato da uno chef italiano, mentre assapora uno Spritz preparato da un barista giamaicano. Questo dimostra che non devi essere necessariamente un nativo per essere credibilmente eccellente”.