Andoni Luis Aduriz senza freni:
Fra i grandi delusi della Michelin 2025 c’è ancora una volta il grande chef basco, che si toglie qualche sassolino dalla scarpa: “Dai 50 Best si esce dalla bocca o dal culo, come nel mio caso. Qualcuno pensa che non mi farebbe piacere avere tre stelle? Certamente, ma non a tutti i costi”.
È diventato famoso per i sassi commestibili, in realtà semplici patate al caolino, Andoni Luis Aduriz, chef del Mugaritz che ora i sassolini se li toglie dalle scarpe. Ospite del podcast di La Vanguardia “Quedate a comer”, ha infatti tuonato contro lo spirito dei nostri tempi, in cui sembra che il successo si possa costruire attraverso la menzogna e lo scarso giudizio. Ma il trionfo, dice, non dovrebbe fondarsi su modelli troppo distanti della ragione per cui un essere umano si trova a passare per questo mondo, ovvero lasciarlo un po’ migliore di come lo ha trovato e godere dei piaceri della vita, l’amicizia, il buon cibo, la conoscenza. Invece assistiamo al trionfo dell’ignoranza e del pensiero a breve termine, nonostante le sfide che dobbiamo affrontare. Una politica “fast food” infarcita di glutammato. “Cosa racconterò a mio figlio, che ha quattordici anni? Che tutto vale, che mentire funziona, che viviamo in un mondo di opportunisti? Invece mi sforzo di insegnargli il rispetto”.
Per quanto riguarda il Mugaritz, lo chef si mostra suscettibile. “Rispetto e capisco che la gente preferisca mangiare le bistecche anziché una tetta al Mugaritz, mi sembra la cosa più normale del mondo. Chiederei solo un minimo di rispetto. Invece per molto tempo ho sentito il bisogno di giustificarmi. Ma se io vado in un posto che non mi piace, esco e cerco di restare positivo”. Per quanto riguarda i riconoscimenti, poi, il suo è ormai un caso internazionale: “Qualcuno forse crede che non mi sarebbe piaciuto essere il primo del mondo per i 50 Best? Che non vorrei detenere tre stelle Michelin? Non a ogni costo, però. Dai 50 Best si esce dalla bocca o dal culo, come nel mio caso. Ma sono nella maggioranza e bisogna farlo con dignità. Bisogna applaudire chi vince, perché lo merita. Come molti che non vincono. Ma per me è più importante che la gente veda che sono uscito a testa alta, con grande tranquillità e congratulandomi. Per me, deve parlare il mio lavoro”.
“Quello che ha sempre funzionato, è approcciare le cose con un ‘non so’. Istigare alla curiosità è il motore della mia vita e di tutto ciò che facciamo. Sono passato da elBulli ed è stato come andare in un paese dove si parla un’altra lingua. Si trattava di assimilare uno stile e un modo di stare al mondo, per creare piatti come li voleva Ferran. Ma imparare è facile, il problema vero è disimparare e non continuare a replicare, creando qualcosa di proprio. La domanda allora è: la cucina che stai facendo, ti identifica? Assolutamente sì. Non ho mai detto a nessuno che facciamo il meglio. Facciamo il nostro, nel modo migliore che possiamo. Io stesso mangio più lenticchie che tette e ogni volta mi metto nei panni degli ospiti, per capire fin dove posso spingermi. Ricordo che Ferran diceva di lavorare su cose che piacessero al 15% delle persone e personalmente ho clienti affezionati, che mi chiedono di essere il più radicale possibile. Poi per me ci sono due linee rosse. Non posso servire prodotti che vadano contro la loro stessa esistenza, per esempio le angulas. E non posso attentare alla salute delle persone. C’è il nodo del lusso, ma per me un uovo fritto o una tortilla valgono mille volte un tartufo bianco. Dovendo rinunciare all’uovo o al tartufo, facendoli sparire per sempre dal frigo, nessuno avrebbe esitazioni. Qualcosa che si compra col denaro, può forse valere 100 ore di lavoro su un’idea?”.
Autore: Alessandra Meldolesi