La lotta allo spreco alimentare è un tema che riguarda tutti ed è doveroso, oltre che giusto, promuovere e sensibilizzare qualsiasi forma di strumento che possa aiutare a diminuire il problema: anche una semplice doggy bag, ovvero quel contenitore in alluminio o cartone che serve per consumare a casa quanto è avanzato dal pranzo al ristorante o per darlo all’amico a quattro zampe (da qui il nomignolo affibbiatogli).
Ad oggi in Italia siamo in attesa di nuovi sviluppi dopo le due proposte di legge presentate: la prima è stata depositata lo scorso dicembre 2023 al Senato dalla leghista Mara Bizzotto; la seconda, di gennaio 2024, è stata presentata alla Camera dal deputato di Forza Italia, Giandiego Gatta.
Entrambe puntano a rendere obbligatoria la “borsa degli avanzi” in tutti i ristoranti, da fornire a chiunque voglia portare a casa il cibo o il vino non terminati al tavolo. In particolare, l’ultima proposta fatta sottolinea l’obbligo di informare i clienti circa la possibilità di portare a casa il cibo avanzato e di soddisfare coloro che fanno richiesta della doggy bag, stabilendo multe da 25 a 125 euro per gli esercizi che non rispetteranno la regola e non provvederanno a rifornirsi di contenitori.
Nel momento in cui scriviamo, l’unica legge in vigore in Italia è la 166/16 sugli sprechi alimentari, che «promuove l’utilizzo», da parte degli operatori nel settore della ri-storazione, di contenitori riutilizzabili idonei a consentire ai clienti l’asporto degli avanzi di cibo.
Promuove, ma non obbliga.
La pratica di portare a casa gli avanzi della cena al ristorante è però già legge in alcuni Paesi.
La doggy bag da gennaio 2023 è obbligatoria in Spagna; in Francia una legge simile è già in vigore dal 2021, mentre negli Stati Uniti, dove è nata, non esiste una vera e propria legge, proprio perché l’abitudine a richiedere i resti della tavola è cosa molto diffusa.
Tutti provvedimenti presi sulla linea del Green Deal introdotto a fine 2019 con cui l’Unione Europea s’impegna a dimezzare gli sprechi alimentari generati da attività ristorative, attività di vendita e somministrazione e dagli stessi consumatori entro il 2030, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Questo è il quadro normativo generale, ma a quanto ammonta lo spreco alimentare nel nostro Paese?
Secondo l’ultimo rapporto dell’osservatorio Waste Watcher International dell’Università di Bologna, pubblicato in occasione della Giornata di Prevenzione dello Spreco Alimentare, ogni cittadino italiano butta 469,4 grammi di cibo: 125,9 grammi in meno rispetto al 2022.
Raddoppiano i numeri negli Usa, nonostante la doggy bag sia una tradizione consolidata: lo spreco alimentare è di 859,4 grammi settimanali pro capite, mentre il Regno Unito registra quota 632 grammi.
Meglio dell’Italia fanno invece Spagna e Francia, che si collocano rispettivamente a quota 446 e 459 grammi, segue la Germania (512,9 grammi settimanali) con una riduzione nell’arco dell’ultimo anno del 43% circa.
Come si può vedere geograficamente, lo spreco di cibo è distribuito in modo differente: nei Paesi in via di sviluppo si perde più cibo nella fase di produzione; mentre nei Paesi sviluppati (come l’Italia) gli sprechi si concentrano nella fase di consumo, quindi nelle nostre case.
Così come lo spreco non ha lo stesso peso in tutte le filiere: sono maggiori in quelle di prodotti di origine vegetale (frutta, verdura, tuberi) e minori per le filiere della carne, del latte, dei latticini e dei legumi.
Ma torniamo alla doggy bag e cerchiamo di capire che rapporto esiste tra questa speciale borsa e le persone.
Secondo uno studio presentato dalla FIPE, solo il 15,5% degli italiani porta a casa il cibo non consumato durante un pranzo o una cena al ristorante, nonostante il 91,8% dei ristoratori sia attrezzato per consentirlo. Una percentuale che scende all’11,8% se parliamo di vino. Segnali ancora troppo timidi in un’epoca di grande attenzione verso la sostenibilità e gli sprechi, soprattutto alimentari.
Da quanto ipotizzano alcuni ristoratori, il basso numero di richieste può essere spiegato da un certo imbarazzo del cliente a richiedere di portare via gli avanzi, soprattutto tra gli italiani; diverso l’approccio dei turisti che chiedono di portare via anche il pane non consumato. Tra le altre cause ipotizzate della riluttanza dei consumatori si inserisce la scomodità (19,5%) e l’indifferenza (18,3%). Superare il blocco psicologico sarebbe un primo passo verso la soluzione del problema e su questo aspetto non ha dubbi il direttore dell’Ufficio studi di Fipe, Luciano Sbraga, che indica i ristoratori come avanguardisti per valorizzare il progetto e promuovere la cultura dell’anti spreco.
Dal lato consumatori, in proiezione alla futura legge, secondo i dati forniti da Altroconsumo, in nove casi su 10 le persone che hanno richiesto la doggy bag sono soddisfatte dal ristoratore e, nel caso di rifiuto, le motivazioni più comuni sono sempre “la mancanza di contenitori adatti” e “la non politica del locale”.
Più di 9 persone su 10 hanno dichiarato di essere favorevoli a una legge che obblighi i ristoratori a fornire la doggy bag a chi lo chiede. E poi esistono anche quei ristoratori che dicono no alla doggy bag. I motivi? C’è chi pensa che questa soluzione non risolverebbe lo spreco, chi pensa che sarebbe un onere per il ristoratore e che causerebbe altri rifiuti e addirittura chi dice che la legge proposta in Italia sia inutile e dannosa per il settore, schierandosi contro la proposta di legge (non contro la doggy bag ovviamente).
TENGA IL RESTO E DOGGY BAG: PROGETTO CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE NEI RISTORANTI
Nel 2015 nasce il progetto Tenga il Resto nell’ambito di Expo Milano, con il Comune di Monza (all’epoca all’interno del comitato promotore di Expo) come prima città test.
Da questo primissima edizione se ne sono susseguite fino al 2020 molte altre, che hanno trovato applicazione al Nord Italia concentrandosi su aree comunali piccole e, di conseguenza, con un numero gestibile di ristoranti e di alcune aree provinciali, tra queste Pavia, Treviso, Monza, Cremona, Grosseto Arezzo, Macerata, Pordenone e Gorizia. E i risultati sono stati molto buoni fin da subito, con repliche e richieste di continuazione del progetto.
Nel 2024, dopo la parentesi covid e lockdown, Tenga il Resto arriva a Roma, voluto dall’Assessorato all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei rifiuti di Roma Capitale, e prova a fare il salto di “quantità” mettendo a disposi-zione, per tutti i ristoranti che vorranno farne richiesta, delle doggy bag gratuite.
Ma vediamo meglio cos’è Tenga il Resto.
Si tratta di un progetto pensato per contrastare lo spreco alimentare promuovendo le buone pratiche di recuperare il cibo non consumato attraverso il coinvolgimento della rete dei ristoranti pensato dal Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio (CIAL), che contribuisce con una donazione concreta in vaschette in alluminio e dei kit di promozione completi.
Su ogni territorio l’ente promotore è il Comune di riferimento che si prende incarico della distribuzione delle doggy bag ai ristoranti che decidono di partecipare all’iniziativa. Su Roma il progetto è promosso dall’Assessorato all’A-gricoltura, Ambiente e Ciclo dei rifiuti di Roma capitale, con il contributo oltre a CIAL, della Fipe Confcommercio, della Fiepet-Confesercenti e di Slow Food, che hanno il compito di coinvolgere la rete dei ristoranti di Roma nelle azioni volte a ridurre lo spreco alimentare.
Il cuore del progetto è la distribuzione ai ristoranti di una speciale vaschetta in alluminio, con la quale i clienti possono portare a casa il cibo non consumato, prevenendone lo spreco. CIAL ha contribuito al progetto con una donazione a Roma Capitale di 300.000
vaschette in alluminio per un totale di 1.500 kit composti da 200 vaschette, 100 buste per la consegna del contenitore ai clienti e materiale informativo per dare evidenza dell’adesione del ristorante a “Tenga il Resto”.
L’alluminio è infatti riciclabile al 100%, tanto che la vaschetta, dopo più utilizzi, se correttamente conferita nella raccolta differenziata, può rinascere e trasformarsi per infinite volte in tanti oggetti di uso comune.
È inoltre il materiale che più di qualunque altro offre un’eccellente barriera alla luce, ai batteri, all’aria, ossigeno e al vapore. Va da sé che, quando è utilizzato come packaging alimentare, si rivela molto utile per la conservazione del prodotto contenuto, minimizzando di conseguenza la produzione di rifiuto organico.
Per partecipare al progetto è necessario essere un ristorante con tavoli e consumazione sul posto (non può accedere chi fa solo delivery o asporto) e basta registrarsi al portale che Cial ha messo on line da cui è pubblicamente possibile censire il numero e la tipologia di ristoranti aderenti. Su Roma si sono superati i 50 nominativi nell’arco di due mesi e il trend è in crescita.
A gestire la consegna delle vaschette è sempre il consorzio che, nel caso di Roma e della sua oggettiva grandezza, ha messo a disposizione dei ristoratori romani un magazzino dove poter ritirare le vaschette che vengono assegnate ad ognuno. Si parte con un kit di comunicazione e 200 vaschette per iniziare e se ne calcola una media di cento al mese per le richieste successive.
Abbiamo fatto un’indagine e un po’ di domande per capire cosa succede nei ristoranti italiani in fatto di spreco alimentare.
Indagine tra i ristoratori italiani
Il primo che abbiamo intervistato è Marco Morello, chef patron del Collettivo Gastronomico Testaccio nonché coordinatore del tavolo ristorazione del Consiglio del Cibo di Roma e in prima linea su Tenga il Resto: “Fin dall’inizio mi sono speso nel mio ruolo per portare avanti il progetto e promuoverlo affinché altri amici ristoratori aderissero e, per fortuna, il riscontro è stato positivo, anche da parte dei clienti che si dicono piacevolmente soddisfatti nel vedere che l’amministrazione intraprende un’iniziativa concreta sul territorio.
Qui al Collettivo Gastronomico i clienti chiedono di portar via quello che rimane nel piatto, anche se noi cerchiamo sempre di bilanciare al meglio le quantità proprio per evitare ciò. Quasi sempre si tratta di un secondo, della carne o del dolce, magari una torta di compleanno“.
Tra i piatti più gettonati per la doggy bag ci sono dunque i secondi, soprattutto di carne, e i dolci.
Nel primo caso, perché si ordina troppo e non si riesce a finire, oltre alla questione costo; nel secondo caso si tende sempre a portare a casa e i dolci che il più delle volte non vengono proprio toccati, così da poterli mangiare il giorno dopo. Tendenza abbastanza diffusa in diverse zone.
Antonella Torcasio de La Terrazza a Gerace (Rc) dice: “Da noi capita spesso che chiedono di portare via ciò che rimane, e nella maggior parte dei casi si tratta di un secondo piatto, specialmente quando ordinano la carne alla brace, che è sempre abbondante, o qualche fritto dell’antipasto. Non utilizzo doggy bag specifiche, ma i classici contenitori di alluminio con coperchio“.
Anche Le galline in cucina hanno aderito su Roma al progetto entusiaste dell’idea e di poter contribuire a sensibilizzare i propri clienti. “Ci capita spesso – ci racconta Flaminia Zezza titolare del locale – che i nostri clienti, e soprattutto quelli stranieri, ci chiedano di portare via i piatti che non hanno finito e anche il pane, che noi produciamo quotidianamente con il nostro lievito madre.
Utilizziamo solo contenitori compostabili o riciclabili che hanno un costo elevato, quindi la fornitura delle vaschette e delle buste di “Tenga il Resto” ci è stata utile e gradita. Operazione che non solo proponiamo, ma che abbiamo pubblicizzato sui nostri profili social e con la locandina all’interno del nostro locale“.
Cosa porta via la gente da qui, per poterlo finire a casa?
Oltre al pane, le polpette napoletane con zucchine fritte, uno dei piatti di punta. Il pane è una di quelle portate, insieme al dessert e alla piccola pasticceria, che viene chiesto di portare a casa (o proposto) nei ristoranti fine dining.
Accade da Sintesi, una stella Michelin ad Ariccia (Rm) che è munito di bustine compostabili e scatoline.
Stessa cosa a La Ciambella bar à vin con cucina in centro a Roma: “Siamo attrezzati con contenitori e buste per l’asporto e chiunque chieda di portar via qualcosa può farlo. Succede spesso con il pane. E, molto spesso a conclusione del pasto, siano noi che chiediamo al cliente se vuole portarlo via, spiegando anche come rigenerarlo il giorno dopo. È una cosa che capita più di frequente con i turisti“.
Stessa conferma ci viene da Eggs, sia nella sede di Roma che a Milano: sono gli stranieri i meno timidi e più abituati a portar via le rimanenze della tavola, soprattutto il vino, come ci dice la chef Barbara Agosti: “Da noi può capitare che avanzi qualche volta la carbonara e noi proponiamo sempre la doggy bag nel rispetto del cibo e per evitare ogni forma di spreco“.
Altro luogo molto gettonato dai turisti è il Maritozzo Rosso, dove poter mangiare maritozzi in versione dolce e salata in diverse declinazioni (e non solo): qui ciò che rimane è più facile da portar via e si fa quasi sempre, anche su invito del personale.
Sulla stessa scia anche il ristorante Verve, un piccolo salotto gastronomico all’interno del Dom Hotel a Roma che ha scelto di aderire alla campagna Tenga il Resto. La pastry chef Antonella Mascolo ci racconta: “I clienti non chiedono mai la doggy bag, siamo noi a proporla in due casi: a colazione quando non riescono a finire tutto e a cena, quando non riescono a mangiare la piccola pasticceria“.
Mentre Al Cambio, a Bologna, il direttore di sala Piero Pompili: “Il cibo non avanza mai, raramente capita e siamo organizzati con la doggy bag, mentre negli ultimi tempi capita più spesso che la gente chieda di portar via la bottiglia di vino ordinata e non finita“.
Ci spostiamo ancora più a nord a Porto Viro (Ro) e qui sentiamo Pino Longo de La Ca’ Cornera by Flamingo, ristorante pizzeria: “Proponiamo sempre nel nostro locale ai pochi clienti di portar via quello che non riescono a finire.
E abbiamo notato che ilfenomeno doggy bag è aumentato dopo il covid e che, dopo un’iniziale titubanza, ora è diventata una consuetudine e sono proprio i clienti a richiedere, per cibo e anche per il vino, la doggy bag.” Diversa è la situazione nel mondo pizza, rispetto al ristorante. Ma non di molto, e vi diciamo perché.
Chiedere di portar via la pizza, quando avanza – e si tratta nella maggior parte dei casi dei cornicioni che molti non mangiano o delle pizze dei bambini – è più facile e più spontaneo rispetto al ristorante, anche se in percentuale è sempre il personale di sala che propone.
Paolo Moccia del Birrificio di Legnano – The Factory sottolinea: “Normalmente avanza ai bambini, a chi fa l’aperitivo o a chi vuole mangiare il dolce.
Fino a un anno e mezzo fa avevo la pizzeria d’asporto a Scandiano e quello che rimaneva, lo facevo portare a casa, compresi i cornicioni, che come consiglio sempre, riscaldati il giorno dopo si possono utilizzare in sostituzione del pane da accompagnare con salumi e formaggi, ma anche per la merenda in versione dolce. Importante è non sprecare mai!”
Richiesta perenne da Domus Grano a Fiumicino, dove, come ci spiega Samantha Lombardi: “Da noi la pizza è più grande e anche molto farcita e spesso capita che non sempre venga finita, quindi scatta la richiesta della doggy bag e, se non lo chiedono i clienti, la proponiamo direttamente noi“.
Testimonianza negativa ce la riporta Giuseppe Capone dell’omonima pizzeria ad Avellino: “Noi proponiamo sempre la doggy bag e capita anche che la accettino, seppure nella maggior parte dei casi le persone la rifiutino, costringendoci a buttar via ciò che è rimasto nei piatti“.
Da notare l’approccio più o meno facile dei clienti a seconda della tipologia di ristorante e di geografia: ci sono zone più aperte e con meno tabù su questo tipo di richiesta, altre zone dove non viene concepita.
Altro aspetto interessante da notare è che molti dei ristoranti intervistati ci hanno dichiarato che, anche prima del progetto Tenga il Resto, hanno sempre proposto questa pratica sostenibile come tentativo di riduzione dello spreco alimentare, che si aggiunge alla volontà di essere oculati negli acquisti.
Sempre Flaminia Zezza ci dice: “Nel nostro caso siamo sempre molto attenti alla spesa, cerchiamo di non fare scorte eccessive di prodotti freschi e abbiamo un’offerta di fuori menu quotidiani in cui proponiamo piatti che servono proprio a utilizzare prodotti che, altrimenti, in poco tempo dovremmo eliminare.
Nell’ottica antispreco abbiamo aderito, sin dalla nostra apertura, a “Too good to go”, che ci permette di non buttar via i prodotti della prima colazione non più utilizzabili il giorno successivo“.
Il ristoratore sta facendo dei passi in avanti, ha imparato che la sostenibilità si traduce in un miglioramento ad ampio raggio e che, nel suo ruolo, può essere determinante per sensibilizzare al non spre-co, ma anche a buttar giù il muro della timidezza o dell’indifferenza, visto che ancora in Italia c’è una certa reticenza diffusa nel chiedere di portar via qualcosa.
Anche se la voglia di migliorarsi c’è, accompagnata da una buona dose di curiosità.
[Questo articolo è tratto dal numero di settembre-ottobre 2024 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]