Viviamo in un mondo strano, in costante e rapida trasformazione. Molte aziende sembrano bloccate negli anni ‘80, utilizzando ancora il metodo del bastone e della carota per incentivare i propri collaboratori.
Questi imprenditori, concentrati esclusivamente sul presente, spesso non vedono oltre il proprio naso e si ritrovano soli, circondati da sorrisi di plastica che, come quella reale, danneggiano l’ambiente in cui si trova.
Tuttavia, in un mondo in cui la flessibilità, la creatività e l’innovazione sono diventate fondamentali per la competitività aziendale, il metodo del bastone e della carota si dimostra obsoleto.
Molte aziende che continuano a fare affidamento su questo modello si ritrovano a fare i conti con collaboratori demotivati, e forte riduzione della produttività.
La cultura della paura ci ha lasciato uno strascico di eredità tossica.
In molte di queste aziende, la cultura della paura permea l’intera organizzazione. I collaboratori lavorano non per passione, per senso di appartenenza e di responsabilità, ma per evitare punizioni.
Un ambiente tossico in cui, se va bene, ci si trova a galleggiare, mantenendo le stesse regole da cui non si vede l’ora di scappare, il potenziale dei lavoratori non viene coltivato ma ne viene sfruttata sino all’ultima goccia l’energia e il bisogno di avere un posto che permetta di “pagare le bollette”.
All’estremo opposto, ci sono molte grandi aziende che promuovono uno stile di facciata, lo smart working ad oltranza, un modello nebuloso e ostentativo dipendente centrico, puntando all’uguaglianza di tutto e tutti senza valorizzare le individualità, adottando uno stile più estetico che sostanziale.
Questo approccio spesso manca di una reale empatia nella gestione delle persone, al contrario ne esplicita continuamente le intenzioni di plastica ma a fini di interessi speculativi.
Ne è un esempio, lo smart working ad oltranza: una questione di apparenza più che di sostanza.
Non tutte le grandi aziende hanno adottato lo smart working con una reale convinzione nel miglioramento del benessere dei dipendenti.
In molti casi, lo smart working è diventato un simbolo di modernità e inclusione, senza che vi sia una vera attenzione alle necessità dei collaboratori.
Il rischio è che questo modello, se non gestito correttamente, se non introdotto da una precedente solida cultura di responsabilità personale, possa alienare i dipendenti e ridurre il senso di appartenenza all’azienda; sono inoltre convinto che non durerà ancora molto: le aziende che hanno gestito l’apparenza della cultura dipendente centrica, inizierà anche un processo di controcultura della smart working, un processo che tenderà a ridurne i giorni fino all’osso.
Il modello dipendente-centrico si basa sull’idea che il successo di un’azienda dipende direttamente dalla soddisfazione e dal benessere dei propri collaboratori.
In teoria, questo approccio sembra perfetto, ma nella pratica spesso si trasforma in un’utopia irrealizzabile, se non parte prima dala creazione del senso di responsabilità di ciascun collaboratore nel processo di realizzazione degli obiettivi aziendali, specialmente in organizzazioni di grandi dimensioni, in cui il controllo delle performance di migliaia di collaboratori, risulta estremamente complesso. In luogo in cui le politiche aziendali si concentrano sull’uniformità piuttosto che sulla valorizzazione delle differenze non può esistere eccellenza.
Promuovere l’uguaglianza in azienda è fondamentale.
Certo, ma quando l’uguaglianza viene interpretata come uniformità, senza valorizzare le competenze individuali, si rischia di appiattire le differenze che invece potrebbero rappresentare una risorsa inesauribile di creatività ed eccellenza. Molte aziende cadono in questo errore, trascurando il potenziale che potrebbe emergere da una gestione più attenta delle differenze di genere, di cultura e persino di religione, all’interno delle proprie realtà lavorative.
In questo scenario in cui alcune aziende faticano a sopravvivere, altre sopravvivono per i grandi capitali a loro disposizione, ma entrambe adottano modelli discutibili.Ve ne sono alcune, per fortuna, che stanno emergendo come un’eccezione virtuosa.
Queste organizzazioni sembrano aver trovato un equilibrio tra la gestione delle persone e l’attenzione alla cultura d’eccellenza, solitamente guidate da leader che mettono al centro il senso di responsabilità dei propri collaboratori.
Non vedono i dipendenti come semplici risorse da gestire, ma come singoli individui da coltivare e far crescere, ciascuno con le proprie necessità.
I leader di queste organizzazioni lavorano sul benessere delle persone, consapevoli che solo attraverso un ambiente di lavoro sano si può raggiungere il successo, ma si concentrano nel far comprendere il senso individuale di responsabilità.
In queste aziende, il focus è sulla creazione di una cultura della performance che tiene conto delle esigenze e dei desideri dei singoli individui.
L’idea è che una performance aziendale migliore porta a maggiori risorse, che a loro volta permettono di rafforzare la struttura e promuovere un maggior senso di sicurezza lungo tutta la filiera.
La storia del leone e dei 5 buoi.
Nel VI secolo a.C, il greco Esopo raccontò la storia di un leone che tentava di cacciare cinque buoi.
Ogni volta che cercava di attaccarli, i buoi si proteggevano mettendo la coda dell’uno contro l’altro, creando un cerchio di sicurezza. Il leone non riusciva ad avvicinarsi ed i buoi erano salvi. Un giorno, i buoi litigarono tra loro e si dispersero, pascolando tronfi solitari. Il leone, approfittando della loro divisione, li attaccò uno a uno, trovando finalmente il suo pasto.
Questa favola illustra perfettamente l’importanza della coesione e della protezione reciproca all’interno delle organizzazioni moderne. Quando i dipendenti si sentono sicuri e parte di una squadra coesa, le performance migliorano, e l’organizzazione diventa più resistente agli attacchi esterni.
Il senso di sicurezza all’interno di un’organizzazione non è solo una sensazione psicologica, ma ha anche una base biologica.
Quando le persone si sentono protette e supportate, il loro corpo rilascia ossitocina, l’ormone del legame. Questo ormone, lo stesso che viene prodotto nei rapporti familiari, contribuisce a creare legami forti tra i membri del team, tanto quanto tra le mura domestiche, migliorando la collaborazione e la coesione.
Maggiore è l’energia trasmessa dai vertici aziendali a chi gestisce operativamente le attività, maggiore è la potenza complessiva dell’organizzazione.
Il leader non deve limitarsi a impartire ordini, ma deve trasmettere energia, motivazione e senso di responsabilità ai propri collaboratori. Far sentire i collaboratori parte di un progetto comune, coinvolgendoli nella responsabilità delle loro azioni, crea una organizzazione più forte e solida.
I leader devono essere in grado di far crescere i propri collaboratori, non solo colmandone le lacune, ma anche consolidando i punti di forza e permettendo al potenziale inespresso di fiorire.
In conclusione, cercare l’eccellenza nella performance e promuovere la produttività, non è questione di propaganda “social”, ma di coerenza tra ciò che si promuove e ciò che si fa concretamente, è una questione di equilibrio. Le organizzazioni che mettono al centro le persone e il loro benessere sono quelle destinate a prosperare nel lungo termine, purché si investa, prima di tutto, nel creare un forte senso di responsabilità individuale e un ambiente sicuro e collaborativo per migliorare non solo le prestazioni, ma per costruire anche una struttura solida, energica e brillante.
Chissà quando finirà l’era della pubblicità ed inizierà quella della ragione…
[Questo articolo è tratto dal numero di novembre-dicembre 2024 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]