La Majella è servita, potrebbe enunciare Peppino Tinari uscendo dalla cucina tra i tondi tavoli bianchi a cui siedono i suoi ospiti. C’è profumo di funghi, e di carne alla brace o di ragù di agnello. C’è un profumo accogliente che varia al variare delle stagioni, che mai sparisce. È uno dei tratti distintivi di Villa Maiella, l’odore di casa, e trasmettono affetto e sentimenti autentici i piatti di questa cucina che per tre generazioni ha saputo coltivare l’amore per un territorio difficile, ma mai abbandonato, e la centralità di una tradizione da recuperare, sistemare e valorizzare.
Tutto parte da Guardiagrele, il paesello che sorge nel cuore dell’Abruzzo e del Parco Nazionale della Majella: in realtà non ci si sposta più di tanto perché la territorialità non è mai stata chiave di volta come qui, in una delle migliori tavole della regione, quella che tra le eccellenze abruzzesi è forse la più colma di prestigio e merito.
Negli anni ‘60 era una fiaschetteria che nonna Ginetta portava avanti, ma con il tempo la famiglia Tinari ha saputo creare un ristorante in cui si va ben oltre il piatto: ci si avvicina così tanto al territorio calpestato che pare quasi di mangiarlo, appunto. Insieme, Peppino e Angela, hanno percorso con misura e ragione la strada giusta, sempre insieme, che fosse in pieno freddo inverno guardiese o durante la primavera. Lui è l’anima di Villa Maiella, l’uomo lungimirante e di vasta cultura gastronomica, il padrone di casa generoso e accogliente a cui si finisce per voler bene già dopo la seconda visita. La moglie Angela, laureata in scienze dell’alimentazione, è l’altra metà, stringe meno le mani dei clienti in sala e lavora sodo; è lei che instancabile continua a “tirare” a mano le paste servite (è diventata famosa per quella “alla chitarra”). Poi ci sono i figli, i due giovani Arcangelo e Pascal, rappresentanti di un cambio generazionale che sta rafforzando Villa Maiella, continuando a darle lustro.
La gavetta esperienziale sembrerebbe la classica, non fosse per la determinazione che li ha portati a muoversi in brigate prestigiose: Arcangelo nella cucina del ristorante di Michel Bras, tre stelle in Laguiole, in cui ha trascorso circa tre anni, e Pascal che dall’Auberge de l’Ill al Dal Pescatore si è fatto valere lavorando in sala. Non sapevano quando, ma erano convinti di voler tornare a casa per lavorare nel ristorante di famiglia e per poter dire la loro con cognizione di causa, per far diventare Villa Maiella ciò che è oggi.
La cucina della fattoria
Definirlo un ristorante sarebbe riduttivo perché è la mecca dell’autenticità enogastronomica abruzzese: piatti della tradizione preparati secondo le regole, smisurata conoscenza dei prodotti (specialmente Peppino con la carne e i suoi tagli), ciclo chiuso dalla fattoria di proprietà alla cucina.
Nel 2009, anno in cui la Guida Michelin assegna a Villa Maiella la prima stella, Peppino decide di utilizzare i terreni limitrofi come campo d’allevamento di suini neri abruzzesi allo stato semibrado, ma anche di galline e asini, di oche e agnelli che scorrazzano lungo i crinali dei circa dieci ettari, alimentati in modo naturale con ortaggi, verdure e farine nobili. Nato come un diversivo amatoriale, l’allevamento è oggi diventato il valore aggiunto in grado di creare “gli stagionati di maiale nero
della nostra fattoria”, il sontuoso antipasto in cui assaggiare i risultati dell’arte norcina di Peppino tra cui capocollo e salsicce anche di fegato, ventresca e salame steccato, guanciale e lardo.
Qui il gap culturale tra le due generazioni si riduce dato che Arcangelo, ora al comando della cucina, è riuscito a coniugare i saperi e i sapori tradizionali con le visioni e il coraggio (mai troppo) di un trentenne. Ed ecco che le pallotte cac’ e ove si affiancano al vitello marinato al caffè e cumino montano, al tacchino con finocchi,
arancia e nocciola all’insalatina di pollo, gelèe di porri
e orzo perlato.
Tra i primi, la chitarra al ragù d’agnello e ricotta affumicata al ginepro e i ravioli di burrata allo zafferano de L’Aquila.
È l’impareggiabile Gianni Primavera, figura storica di Villa Maiella, a servire i due piatti di sostanza e finezza, la carne, una battuta d’agnello croccante su crema
di canestrato di Castel del Monte, le costatine d’agnello alla brace che sanno di tempi andati e di buono, fino al filetto di baccalà in tempura su spuma di finocchio. Quasi d’obbligo chiudere con il classico semifreddo al parrozzo che nella carta dei dessert accompagna l’omaggio a Michel Bras, composto da Arcangelo per celebrare l’invenzione del tortino a cuore di cioccolato, avvenuta proprio nel mausoleo francese nel 1981.
Dimenticati per due ore gli stereotipi della cucina moderna, cancellata l’immagine dei cuochi da rotocalco, qui si può vivere l’emozione di una cucina con un cuore grande.
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