Lecco, un po’ di storia
Lecco sorge su un deposito alluvionale, in una conca delimitata dalle Prealpi e dal lago di Como, nel punto in cui il Lario finisce e l’Adda riprende il suo corso. Le montagne che circondano la conca naturale dove si adagia l’abitato sono il Monte Coltiglione (anche chiamato San Martino), il Monte Due Mani, il Pizzo d’Erna, il Resegone e il Magnodeno. A ovest, sulla riva destra dell’Adda si trova il Monte Barro. Morfologicamente il territorio lecchese è il risultato delle numerose glaciazioni che hanno colpito il pianeta, circostanza ben evidente nell’aspetto delle montagne circostanti – una su tutte la Grigna – che mostrano tutte le caratteristiche dell’escavazione glaciale. La sua origine altomedievale spiega anche la sua particolare forma urbana, costituita da una serie di quartieri poco distanti l’uno dall’altro e specializzati: i quartieri addetti alla produzione posti lungo la valle del Gerenzone, i quartieri agricoli, il quartiere dei pescatori (Pescarenico), il quartiere militare (Castello) e il Borgo, luogo del mercato e degli scambi sulla riva del lago. Con la dominazione spagnola Lecco mantenne una grande importanza strategica come polo produttivo: al ferro si aggiunse la seta e la vallata del Gerenzone accolse numerosi filatoi e filande. L’importanza di Lecco come custode delle vie di transito verso la Svizzera e la Germania determinò la nascita di un primo borgo fortificato, successivamente trasformato nel corso dei secoli dalle nuove esigenze di centro industriale e commerciale. Tre i ponti che consentono l’accesso a Lecco per chi arriva dalla Brianza. Il più antico è il famoso Ponte Vecchio posto al centro tra il più recente Ponte Manzoni e il Ponte Kennedy, ovvero quello che supporta il maggior flusso di traffico. Un percorso lungo il golfo della città permette di ammirarne la splendida posizione con le sue particolarità naturalistiche ed alcuni monumenti di particolare interesse. Nonostante la figura del pescatore professionista sia quasi praticamente scomparsa, il pesce di lago è comunemente servito nei ristoranti rivieraschi. Il piatto tipico è costituito dal missultin (agone essiccato) e ogni tipo di pesce di lago, dalla trota al lavarello, dal pesce persico al luccio e alle alborelle.
Il ristorante
Rinato dopo varie ristrutturazioni, il ristorante vuole essere l’espressione della raffinatezza per la qualità delle proposte gastronomiche e per la ricerca di nuove e originali modalità d’intrattenimento. La sala può accogliere una cinquantina di ospiti in un’atmosfera ariosa, moderna e di un’eleganza discreta, intensa e inimitabile per la vista sul lago e sui monti, quelli di manzoniana memoria. “Terrazza Manzoni” vuole circondarsi di suggestioni piacevoli e inaspettate, anche nelle cose di tutti i giorni. Ed ecco quindi “La Stanza del Gusto” attigua al ristorante e luogo ideale per chi ama sperimentare gusti e sapori; preziosa per la buona riuscita di riunioni di livello o degustazioni d’eccellenza.
La brigata di cucina è guidata dallo chef Luca Mozzanica (33 anni) con la supervisione e la linea filosofica di Claudio Prandi. Qui si pratica una cucina di prodotto, semplice, con attenzione alla tradizione e con l’animo purista di chi diffida delle mode e degli eccessi tecnologici. Creatività e raffinatezza sono amplificate da una cantina di pregio, curata dal maître e sommelier Andrea Rigamonti, attento ai ricarichi così da non fare diventare i vini mummie invendute. In sala anche Sergio Miccoli e Claudio Manca. Contestualmente al ristorante, Charme Café è aperto tutte le sere dalle 19,00 alle 01.00: un lounge bar senza tempo dove si “servono” musiche, prelibatezze e vini pregiati. Ideale per l’aperitivo e l’after dinner, Charme Cafè miscela divertimento, incontri, eventi, idee, musica, moda e cultura. E’ uno spazio flessibile adatto per organizzare feste private, serate a tema, eventi culturali, meeting e riunioni. Tutte le sale hanno luce naturale. L’offerta di spazi per Meetings e Congressi dell’hotel è vasta e articolata e permette di gestire, parallelamente alla manifestazione principale, riunioni di commissioni o di piccoli gruppi. Le sale principali possono essere allestite come area espositiva, come pure la zona foyer di circa 100 metriquadri, sita tra le sale Griso e Terrazza Manzoni.
Intervista a Claudio Prandi
Claudio, quarantacinque anni di lavoro in cucina. Due stelle Michelin. Grandi soddisfazioni. Mi dici cosa si prova nel “raccontarsi”??
Quarantacinque anni da raccontare? Mah!! 30 anni di duro e piacevole lavoro e gli ultimi 15 con un po’ meno soddisfazioni e molto più inconsapevole lavoro. Solo pochi anni fa c’erano stimoli e condizioni che portavano a soddisfazioni incredibili. Io stesso non pensavo di arrivare qui a 20 anni (ho iniziato a 16) e di poter ricoprire subito ruoli di rilevante responsabilità. Ma ho avuto la fortuna di trovare Bruno Gobbi, un uomo burbero di intuito e professionalità indiscutibili, qualità oggi difficili da trovare. Bisogna dare atto che Bruno è stato uno dei padri della ristorazione degli anni ’70, fautore di innovazioni non indifferenti (materie prime scelte sul mercato, grande cantina con grandi numeri di bottiglie e di grandi produttori, (anche francesi), ma già allora attento a ricarichi non eccessivi (ricarichi mai più del doppio, quando le bottiglie si vendevano e le fatture venivano tutte pagate). Nel 1988 sono poi arrivate le due stelle Michelin ed ho vissuto momenti indescrivibili. Il mondo mi è cambiato attorno. Gobbi mi permetteva di girare i migliori ristoranti (e sempre a sue spese) per “rubare il mestiere”. Non c’era cucina in televisione, non c’erano giornali specializzati tranne La Madia. Nel 1992 andai in Giappone e poi ancora altre volte sino all’ultima del 2008 e lì ho capito che il mondo stava cambiando anche per loro. L’occidentalizzazione stava prendendo posto in cucina. Una confusione anche per loro che avevano avuto sino agli anni ’90 una cucina vera, dignitosa, di grande maestrìa. Il fatto è che stavano cambiando anche i modi di vivere. Le esperienze passate sono ricordi. Oggi in cucina abbiamo di tutto e di più; basti pensare, per fare solo un esempio, agli abbattitori oppure ai forni a convezione e alle piastre elettriche di cottura. Oggi in due minuti si pulisce il piano forno, una volta ci volevano ore per tirare a lucido fornelli e piastre: si faceva notte fonda in cucina per le pulizie. Chi sceglie oggi di fare il cuoco trova tanti benefici che noi non avevamo ma, se manca la passione, la dedizione, la voglia di sacrificarsi e impegnarsi, è meglio cambiare mestiere. Non si può pensare di avere redditi immediati e quindi la scelta è da ponderare con molta attenzione.
Parlami anche delle tue esperienze all’estero e in particolare in Giappone. E di come vedi il futuro della ristorazione.
All’estero c’era quella cultura e quella organizzazione che a noi mancava. Fuori dai nostri confini il modo di operare e di concepire il lavoro razionalmente, ce l’avevano come punto fisso. Noi invece eravamo ancora alla conduzione familiare e senza idea di cosa fosse, ad esempio, la grande cucina degli alberghi dove si poteva apprendere di tutto e di più, dal cucinare al poter allestire un menu di ogni ordine e grado, dal piatto al vino, alla sistemazione delle posate o all’allestimento dei fiori. A me l’estero è servito molto anche per creare un buon rapporto cucina/sala che da noi era una nota davvero dolente. Bisogna arrivare agli anni ’90 per vedere cambiare qualcosa in questo settore. Ancor prima, negli anni ’80, avevamo queste condizioni solo in quei locali dove c’erano datori di lavoro illuminati (non obbligatoriamente chef/patron) e si riuscivano a formare grandi allievi di cucina e a preparare ragazzi di sala, professionisti di grande classe. Un esempio per tutti: il San Domenico di Imola, con il patron Morini, un vero signore della ristorazione italiana e uno straordinario conoscitore di cibo e di vini. C’erano fior di professionisti al servizio della clientela, persone che non contavano mai le ore. Oggi queste realtà le troviamo in piccoli locali, ma se andiamo dove i numeri contano, troviamo spesso improvvisati della ristorazione. Mancano le scuole come quella di Stresa o di Villa Serbelloni a Bellagio e quella dei grandi alberghi tipo Villa d’Este a Cernobbio. Il futuro quindi lo vedo un pò grigio.
Perché, dopo essere andato in Giappone, il tuo ritorno al Griso? Nostalgia?
Il Griso per me è come la seconda casa. Ho sentito un obbligo morale verso quel locale dove ho trascorso la mia vita. Dopo un pò di esperienze a Bormio e al Lear di Briosco (1 stella Michelin), con Luca Mozzanica e Andrea Rigamonti abbiamo deciso di iniziare questa avventura. Luca ha trent’anni meno di me e ne ha fatti almeno dieci in mia compagnia in cucina e quindi a lui il compito di traghettare la cucina della Terrazza Manzoni verso traguardi sostenibili. Io da parte mia farò da mentore e da suggeritore. Andrea farà la sua parte in sala e sarà responsabile anche della sezione vini. Non cerchiamo di arrivare ai livelli di una volta, ma almeno dobbiamo sperare di riportare un’ottima cucina al Griso. La clientela sta rispondendo bene perché la vediamo ritornare.
So della tua grande amicizia con il fu Angelo Conti Rossini, due stelle Michelin di Brissago. Mi parli delle tue esperienze con lui?
Si tratta di una cosa indescrivibile solo a ricordarla. Ero da lui già nel 1974 per uno stage e lui per me è stato maestro e padre. Ricordo con commozione che la sera, quando si finiva di lavorare, piangevo dalla stanchezza ma avevo dentro una grande soddisfazione per quello che ero riuscito ad apprendere. Dedizione e passione, voglia di fare, voglia di continuare a cambiare e a crescere continuamente.
Cosa provavi quando veniva in visita al Griso?
Mi tremavano le gambe. Era un grande onore per me e per il titolare Bruno Gobbi poter ricevere una sua visita e poter presentare i miei piatti. Per me e per la brigata era un dramma. Non sapevo mai cosa fare di nuovo per soddisfare le sue aspettative. Emozioni interne e felicità immensa. Serviva a caricarmi e a cercare di crescere ancora di più nel lavoro. Lui, lo ricordo, era un buono per natura ma un grande critico prima di se stesso e poi maestro per gli altri quando dava consigli e pareri. Uno dei più grandi professionisti che io abbia conosciuto.
Mi sembra che l’alta ristorazione abbia preso una strada che non porta più in cucina ma porta in giro per il mondo. Tu cosa ne pensi?
Una sola risposta, secondo me, secondo la mia esperienza: lo chef deve stare in cucina. Non deve essere attore di televisione e di convegni, che oggi ce ne sono tutti i giorni. D’accordo che la tua notorietà aumenta, ma la tua clientela scappa. I grandi ristoranti d’Italia sono sempre più vuoti; li vedo anch’io perché mi piace girare, però all’estero per la grande ristorazione bisogna mettersi in coda, per giorni o per settimane. Quindi prima cosa: stare in cucina, attaccati ai fornelli, con la propria brigata, seguirla e crescere insieme come in una famiglia. Se manca il capo famiglia si va avanti lo stesso ma senza una vera direzione.
Però succede che i giovani in cucina vengano abbandonati senza una guida presente: non è un bene. Si sentono caricati di mansioni più grandi di loro e si proclamano già grandi chef creativi e pronti a sfidare il mondo, ma poi non sanno fare un vitello tonnato o una salsa rosa. Le loro basi di cucina sono deboli, senza fondamenta e quindi poi mancano i presupposti per creare una propria grande cucina, una linea di piatti che abbiano la loro firma e un gusto deciso, pronto a soddisfare palati sopraffini.
Tradizione o innovazione?
Va tutto bene, ma la cosa più importante è la “sostanza”. Il cliente è il nostro vero datore di lavoro che ci fa sopravvivere. Senza clienti possiamo solo chiudere. La nostra continuità è avere il locale pieno.
Luca, raccontaci un pò della tua vita da chef.
Anni 33. 16 in cucina. Ho iniziato da giovane con Prandi ed ho appreso da lui le tecniche di cucina e la scelta oculata delle materie prime, che non sono poi sempre le più costose. In seguito ho dovuto lasciare Prandi per poter “rubare l’arte” altrove e quindi ho girato alcuni locali importanti per apprendere altre nozioni e altre filosofie. Quindi sono ritornato con Prandi al Lear e da maggio dello scorso anno sono qui quale responsabile di cucina dove, oltre ad avere uno spazio di cucina di qualità, ci dedichiamo anche a convegni e matrimoni perché il posto spettacolare, con lago e monti, invita a farlo. La supervisione di Claudio mi mette in una botte di ferro: lui è un vero professionista e mi mette in condizione di avere anche un pò di tempo libero. In cucina lavoriamo per partite ed ognuno ha il suo ruolo; facciamo anche il pane e i grissini. Non produciamo il gelato perché le normative sono troppe rigide e preferiamo affidarci a fornitori di fiducia che conoscono il loro lavoro.
Ma un giovane della tua età cosa ama cucinare?
Debbo confessare che non ho un preciso indirizzo. Mi trovo bene a fare tutto in chiave mediterranea, quindi olio e verdure stagionali da abbinare o sposare a pasta o a pesci o carne.
Claudio 63 anni, tu 33 anni. Dammi la tua visione di dove sta andando la cucina oggi.
La mia poca esperienza mi dice che la ristorazione è cambiata e anche molto. Pure l’idea di benessere è cambiata e i giovani hanno un'altra idea della cucina. Diventa difficile riempire i locali stellati, ma vediamo strapieni i lounge bar e le pizzerie/birrerie. Anche i soldi vengono a mancare e si tira al risparmio. Però si sta perdendo il senso della vera cucina e questo è un peccato ed anche una contraddizione. Sta aumentando la cultura nozionistica e si sta perdendo la cultura pratica, cioè la frequentazione professionale dell’alta ristorazione. C’è snobbismo e chi se lo può permettere va al ristorante caro solo per farsi vedere. Il futuro per i giovani cuochi lo vedo davvero impegnativo, in salita. Ci vuole la volontà di fare sacrifici personali, senza contare le ore e le festività, a cui purtroppo è difficile rinunciare. Chiudersi dentro quattro mura per dodici ore al giorno non è per tutti. Però vorrei dire a tanti giovani colleghi che il nostro mestiere è bello, creativo, manuale, che offre ancora grandi soddisfazioni quando si riesce a dialogare con una clientela attenta, che però deve essere seguita con molta attenzione. Il confronto con il cliente è una vera sfida e da qui l’orgoglio di questo gratificante lavoro.