Amore e rispetto per i valori della Sardegna
L’hotel Su Gologone non è sul mare, comunque vicino e che può divenire anche una meta quotidiana, lo stesso mare del film “Travolti da un insolito destino” di Lina Wertmuller con Giannini e la Melato, ma anche del remake con Madonna e Richard Gere che, per il tempo delle riprese, sono stati ospiti di Su Gologone.
Non è sul mare dunque, ma è situato nella verde natura che si stende alle falde delle montagne del Supramonte, una zona ricca di acqua, di foreste di lecci e di reperti della cultura preistorica dell’isola. Accompagnati dalle guide dell’albergo, si può salire al villaggio nuragico di Tiscali, oppure visitare il complesso di Sa Sedda e Sos Carros, dove la popolazione nel 1200 a.C. intratteneva rapporti commerciali ben oltre i confini della Sardegna. Oppure si può salire a piedi (o in fuoristrada) alla cima del Monte Corrasi per vedere i luoghi scelti da John Houston per le scene del sacrificio di Isacco, episodio del film “la Bibbia”: paesaggi tagliati dal vento, estremi, duri, affascinanti e ancora oggi lontani da tutto. Sulle stesse montagne si possono seguire itinerari botanici alla scoperta delle piante officinali, piante altamente “specializzate” che con i loro olii essenziali combattono la disidratazione. I panorami sono da volo di aquile e, mentre si sale, la macchia mediterranea diventa bosco di lecci e poi “gariga” ovvero brughiera, dove la roccia è prevalente e la vegetazione bassa per difendersi dal vento. Di solito queste escursioni teminano con il pranzo nella casa del pastore, tavolacci di legno sotto al pergolato, suggestione di ambienti intatti, prodotti dai sapori dimenticati e la simpatia irrestibile del padrone di casa che sa raccontare il suo vissuto con furbissima abilità.
L’hotel Su Gologone, progettato negli anni ’60 dall’architetto Giovanni Antonio Salas, nasce come ristorante con qualche camera; si è poi ingrandito negli anni fino alle 80 camere odierne, ma si è ampliato nel rispetto dei luoghi tanto che il cemento non prevale affatto sul paesaggio. E’ composto da edifici “diffusi” nel verde che gradini e sentieri collegano come in un borgo piccolo ma ricco di angoli da scoprire. Un’altra caratteristica di questa casa composta di più case, è rappresentata dalle collezioni di opere di pittori e scultori sardi e da oggetti che mettono in valore cose semplici e di uso quotidiano. Sono raccolte composite ispirate dall’amore dei proprietari dell’hotel per le proprie radici.
Utensili che fino a pochi anni fa facevano parte della quotidianità di vita, qui sono messi in risalto e diventano un racconto per immagini dei costumi dell’isola. Girando nei diversi ambienti dell’albergo si impara molto sulla Sardegna e stupiscono la qualità del lavoro, l’arte dei ricami femminili, la sensibilità negli accostamenti dei colori, la cultura innata che sa trasformare ogni momento della vita – dal lavoro nei campi al lavoro domestico, dai momenti della festa a quello delle ricorrenze – in espressione artistica.
Le camere sono grandi e ognuna diversa, i tessuti bianco-avorio fanno da base ai colori accesi dei cuscini, dei vestiti, dei corpetti, delle sacche antiche che decorano le pareti. Alcune stanze sono intitolate ad un artista che è rappresentato da un suo “pezzo”: un quadro, una ceramica, un’opera che diventa il tema che suggerisce il decoro dell’ambiente. Tutte le camere, intime e allegre, affacciano sul verde dei lecci e degli ulivi.
Grandi spazi avvolgono l’albergo, con terrazze che guardano le montagne del Supramonte, con salotti-bar sotto l’ombra della folta vegetazione. C’è un quartiere dedicato alle botteghe dove si possono acquistare ceramiche, gioielli, cuscini, vestiti e scialli che si ispirano alla tradizione isolana e che sono creati e riproposti secondo un progetto artistico e con gusto moderno. Poi c’è il ristorante, molto conosciuto per la qualità dei prodotti locali e per la fedeltà alla cucina di tradizione, dove si può assaggiare una gastronomia varia e complessa, gustosa e ricca di sapori e che richiede nella preparazione tempi molto lunghi. Cucina al femminile – con paste e dolci che sono confezionate con smerli, pinces e finiture, orgoglio e prova di abilità di chi li sa confezionare – hanno dunque una valenza estetica oltre che piacevolmente edibile.
La pasta “filindeu”, citata da Grazia Deledda, sembra un tessuto a trama fine; la sfoglia è lavorata a lungo: appoggiata su un cestino che vi lascia il segno dell’intreccio, è poi stesa e le si lascia il tempo di ritrarsi, quindi ci si appoggia un’altra sfoglia, così che strato dopo strato assume l’aspetto di un tessuto a trama incrociata, ma sottile, esile, non spessa. Un lavoro incredibile!
L’ambiente del ristorante è tipico, con sovrabbondanza di oggetti ovunque; il camino ha un imbocco di 3 metri ed occupa interamente un angolo della sala.
La cucina è quella dell’entroterra, soprattutto ricca di carni di agnello e di cinghiale, di formaggi di pecora freschi e stagionati e di salumi.
“Modizzoso” è il pane di patate; il “frua”, splendido, è latte cagliato fresco, spalmabile, con retrogusto di erbe fresche e leggerissima acidità; i “maccarones de busa” sono fatti con la semola di grano duro (è pasta bucata, arrotolata intorno ad un ferro e condita con ragù di agnello e pecorino gruttugiato); le polpette sono di formaggio e zucchine; le fave profumano di menta così come la zuppa di farro guarnita con la menta di fiume e con il finocchietto selvatico; i porcini sono stati appena raccolti e il porcetto e le salsicce girate allo spiedo; il gelato è di ricotta guarnito con la salsa al mirto o al miele di asfodelo e con una spruzzata di briciole di mandorle che gli aggiungono un pizzico di amaro. Ma la nostalgia è per “pane frattau” che è pane carasau ammollato, poi condito con pomodoro e guarnito con l’uovo intero: un sapore antico che, anche se non si è mai assaggiato, si riconosce subito, perché se ne conserva la memoria nel dna.