Ogni tanto ci viene il dubbio che nel giornalismo di settore si creino dei cortocircuiti e che su determinati argomenti si determinino forme di pregiudizio e snobismo al contrario. Sembra insomma, che certi contesti d’elite non siano credibili sul piano enogastronomico. La sensazione si è ripresentata quando abbiamo deciso di visitare una bianca e moderna roccaforte con le ampie vetrate proiettate sul mare di Positano, realizzando che erano scarsi i riferimenti critici che potevano aiutarci a conoscere preventivamente questo locale. Strano, data la pletora di blogger e segnalatori affamati di visibilità e di news.
E strani altri silenzi più autorevoli.
Allora cosa? Il Rada Restaurant è dunque troppo bello, troppo sfacciatamente collocato nel punto più invidiabile della frequentatissima spiaggetta e troppo vippaiolo per essere considerato anche di grande qualità?
Lo abbiamo chiesto ai diretti concorrenti, ovvero ai ristoratori dei dintorni, il cui giudizio è stato unanime: vale la pena provarlo. Ne è valsa la pena, non solo perché l’esperienza enogastronomica in un ambiente così suggestivo è ancor più gratificante – la luna che si riflette nel mare, le luci delle barche e quelle di Positano, il paese verticale, che lo fanno sembrare un presepe – ma proprio per il valore di una cucina piacevole e intrigante. Se ne prende cura, con il suo secondo Ciro Catapano e una brigata di dieci elementi, lo chef Emilio Desiderio, 36 anni alcuni dei quali spesi per effettuare stages da Crippa, Nino di Costanzo, Enrico Bartolini, Uliassi, Michele Deleo, Alfio Ghezzi. “Da loro – ci confida Emilio – ho cercato di carpire la mentalità e la filosofia. Se fossi stato nelle loro cucine da ragazzino forse avrei tentato di copiare i piatti, di emularli, bruciandomi così la possibilità di costruire una cucina mia. Aver avuto la possibilità, invece, di lavorare con loro in una fase più matura della mia professione – continua lo chef – mi ha permesso di valutare più concretamente tecniche, organizzazione di cucina, elaborazione di una ricetta, assemblaggio armonico di un piatto. In una parola, lo stile che caratterizza ogni cuoco di talento”.
Va detto che questa formazione è stata resa possibile grazie alla sensibilità dimostrata dalla proprietà del ristorante (la famiglia Russo) che ha deciso di investire su Emilio, valorizzandone e affinandone la capacità.
Il rapporto, improntato da entrambe le parti sulla fiducia e il rispetto, ha una continuità di ben dodici anni e questo la dice lunga circa la non provvisorietà del progetto riguardante il Rada Restaurant.
La verifica circa il percorso intrapreso con serietà da Emilio inizia con la “Passeggiata al mare” (foto qui sotto) un divertente e sapido approccio con la sua idea di incontro dinamico con il territorio, fatto di tradizioni e nuove suggestioni: nel riccio c’è un mantecato di nasello con spuma di patate; sulla pietra una spugna d’alga con una maionese di cozze; nel piattino quadrato pane, burro e alici. Takos, burro di bufala, alici salate in casa; nel cucchiaino una finta pietra composta da tartare di sauro, pomodorini secchi, origano; nel piattino di vetro di Murano un etereo fusillo soffiato alla carbonara; sul corallo cialde soffiate con nero di seppia, alga di mare, zafferano.
Si continua il percorso marittimo con un piatto dal nome troppo generico di “seppia e piselli”: si tratta in realtà di una creazione che si discosta molto dalla banalità che la nomenclatura suggerisce, essendo costruita in forma di tagliatelline di seppia cotte per 3 ore a 60°C, passate in una salsa di sesamo tostato e abbinate ad un finto pisello al taleggio di bufala con gocce di pisello in purezza (foto in alto pagina accanto). Una proposta centrata, giocata perfettamente sull’equilibrio tra caldo e freddo e sulle note dolci, salate e croccanti dei singoli ingredienti, esaltati nella loro naturalità.
Il gambero in carciofo arrostito che segue rappresenta un’altra piccola prova di abilità e valorizzazione della materia prima: le bucce esterne del carciofo sono state arrostite e messe in infusione nell’olio che, così profumato, servirà per la cottura del carciofo, nel cuore del quale il gambero, semplicemente spadellato, aggiungerà la sua caratteristica abboccata a quella di morbida tostatura del carciofo. Approcciamo quindi le fettuccelle al nero di seppia su ricci di mare e aria di zenzero, un’esplosione di iodio che la spadellatura in acqua di lupini enfatizza coerentemente.
Il bottone cacio e pepe in salsa di zucchine (foto a lato) e il rombo alla brace, il cui trancio è ricavato da un pesce di ampia pezzatura, precedono ciò che, nella splendida sequenza di dolci, ci ha colpito di più: sotto l’anonima dicitura di “formaggio e pere” (qui sotto) si rivela il dolce perfetto, una sfera di cialda sottilissima fatta di sfoglia 100% a base di pera cotta a bassa temperatura, essiccata e poi sagomata, contenente una sifonata di ricotta di bufala, granita di pera e lemongrass e pera spadellata abbinata a un gelato alla camomilla e caramello salato. È qui che gli stage in laboratori di pasticceria e quelli successivi per trasformare le regole base in creazioni da dessert al piatto trovano la loro applicazione pratica, nella forma più apprezzabile.
Enciclopedica la carta dei vini, come conviene a un ristorante di elevato livello frequentato da moltissimi stranieri innamorati delle nostre produzioni più prestigiose, con 250 etichette che annoverano nomi altisonanti, rossi importanti, grandi champagne, ma anche una nutritissima rassegna di piccole e meritevoli espressioni dell’enologia campana, suggerite con competenza negli abbinamenti ai piatti dal sommelier Mario Fusco che affianca nel servizio, premuroso ma non opprimente, gli ottimi Stefano Barba e Arcangelo Mormile.