360 gradi + 1 per il re degli imprenditori gourmand
La cucina
La società è un organismo; ma anche il Symposium assomiglia sempre più a una persona composta di organi e funzioni. Sulle gambe robuste della banchettistica, il cuore del ristorante batte forte mentre le maniche si rimboccano in un nuovo locale, ombra informale della grande maison. La mente è una sola: Lucio Pompili, ristoratore storico e padre nobile della moderna cucina marchigiana, che continua a orchestrare come un direttore sapiente le tante pecorelle di una scena in fermento.
“Sono il ristoratore della mia valle”, ama ripetere sullo sfondo raffaellesco di questo spicchio di terra. Un’affermazione che trova riscontri puntuali nel menu, con strizzatine d’occhio alle specialità locali e ai classici abbinamenti di territorio, ma soprattutto nella lista degli acquisti e nel range delle attività intraprese. L’attenzione per i prodotti di eccellenza è un impegno costante, svolto in prima o in terza persona: oltre ad avere allestito spazi per coltivazioni e allevamenti bio, Lucio collabora con i migliori artigiani della zona, da Vittorio Beltrami, compagno di strada di lungo corso, ai pastifici Latini, Mancini, Columbro e Montebello di Gino Girolomoni, variando grani e formati; senza dimenticare i maccheroncini di Campofilone, i salumi d’antan di Giulio Tombini, l’extravergine Dop di tutti i frantoi di Cartoceto, le carni Igp della macelleria Spendolini di Tavernelle e dell’Icam di Mercatello, le verdure dei fratelli Iacucci, il pesce del consorzio Scirocco 36 e della pescheria Spinosi Conero Ittica… L’ultimo arrivato è il cospicuo allevamento di cinghiali allo stato semibrado, che fornisce carni fresche e salumi fondenti; ma nel prossimo futuro ci sono anche le capre.
Il carrello dei formaggi in passato è stato molto ricco, con un ampio spazio per grandi francesi, svizzeri, Dop e Igp italiani; oggi la proposta è ridotta e localizzata nel territorio marchigiano, con una particolare attenzione per formaggi di fossa, caprini, pecorini conciati, stagionati in miniera di zolfo o sotto vinacce, secondo formule spesso concordate con l’affinatore. Il pecorino di fossa in particolare è stato scoperto da Lucio nel lontano 1988 facendo visita a Paolo Teverini: una rivelazione così esaltante da convincerlo a riaprire le fosse di Talamello e registrare un apposito marchio. In accompagnamento ci sono le confetture fatte in casa, fra cui spiccano quelle di sambuco e more di gelso, dalla generosa pianta nel giardino. Oltre naturalmente al pane: il cestino affianca grissini, crackers, panetti al patè di olive, al pomodoro e basilico e per i formaggi, con cereali, noci e salamino di fichi; i cuochi invece hanno spesso per le mani il pane di Chiaserna, insipido, a lievitazione naturale e cotto a legna, ottimo per panzanelle e bruschette. I salumi sono un altro aspetto da non trascurare: al Symposium subiscono una stagionatura supplementare prima di approdare in tavola. Il prosciutto San Daniele e quello di Parma per esempio sono acquistati a 24 mesi ed affinati per altri 18-24 mesi; stessa sorte tocca alle chicche di Paolo Parisi. Protagonisti degli aperitivi, non figurano in carta, ma sono sempre disponibili. Una menzione speciale merita infine la selvaggina: gran parte di quella del Symposium è stata cacciata in prima persona o da amici nel corso di avventurose spedizioni per il mondo. Lucio ama definirsi un “cuoco cacciatore”, che applica la filosofia venatoria, con i suoi corollari di naturalità e temperamento, a tutti gli ambiti della cucina, compresa la pasticceria. Largo quindi al pesce sparato o al parangallo, alle farine bio macinate a pietra, agli ortaggi coltivati in pieno campo e alle erbe selvatiche. Sapori ribelli da inquadrare nel mirino della ricetta giusta, senza mai derogare alla stagionalità.
Il locale
In posizione dominante sulla valle di San Francesco, il locale non può passare inosservato con la sua vistosa insegna e il lungo viale alberato che conduce al parcheggio, fiancheggiato dalle cucce dei cani da caccia. Dall’apertura nel 1985 in un umile casolare, i suoi spazi non hanno cessato di crescere, con l’allestimento della piscina, della veranda e soprattutto con i recenti ampliamenti. Sette sfarzose camere con vista mozzafiato, arredate ciascuna con colori diversi, aspettano i clienti tiratardi; ma ci sono anche la cappella consacrata, la beauty farm e la spa con talassoterapia, in corso di allestimento. Il ristorante vero e proprio si dipana su 2 ambienti molto vasti, con 10 tavoli confortevoli e ben distanziati immersi in un arredamento colorato ed esuberante, che racconta la storia e le passioni di famiglia. Ospitano 36 coperti, con ampi spazi per l’aperitivo e l’after dinner. Nella seconda sala è possibile anche compiere degustazioni per gruppi interessati alla scuola di cucina: al banco bar è stata installata un’attrezzatura dove i cuochi potranno esibirsi sotto gli occhi degli ospiti. Confortevole anche lo spazio per sigari e distillati, riscaldato dalla familiarità del caminetto.
Qualora le camere del ristorante fossero già occupate dagli sposini di turno, ci sono altrettante possibilità di alloggio presso Villa San Martino, la struttura accanto al museo del Balì, dove a marzo entrerà in funzione la moderna trattoria secondo Lucio.
La cantina
Nella sinergia con i produttori di eccellenza, il vino rappresenta un capitolo importante. Fra i sommelier della prima ora, Lucio collabora con diversi vignaioli locali, per dare impulso alla produzione di qualità. Di recente ha deciso di tentare l’avventura in solitario, piantando filari di sangiovese autoctono sui pendii meglio esposti attorno al ristorante: formano una piccola vigna di 1500 piante al terzo anno di età, “che quest’anno dovrebbe fornire qualche bicchiere buono; finora è servita piuttosto per l’agresto e il mosto cotto in cucina”, spiega. La cantina viene annoverata fra le migliori d’Italia, con punte d’eccellenza tutte transalpine, dalle verticali di Château d’Yquem ai grandi Bordeaux (Château Lafite su tutti). “Ma le Marche negli ultimi 10 anni hanno guadagnato le prime posizioni nazionali nei vini bianchi, a cominciare dal Verdicchio, con una grande rinascita di bianchello, pecorino e altri vitigni autoctoni; per quanto riguarda i rossi siamo in lizza con grandi sangiovesi e montepulciano, che forniscono assemblaggi deliziosi”, aggiunge Lucio. Nel complesso sono 30mila bottiglie, gestite con un inventario aggiornato ogni anno, l’obiettivo di massimizzare il turn over e valorizzare gli investimenti. Spettacolare la cantina di affinamento, a 14 °C costanti con l’85% di umidità, dove le bottiglie avvolte dentro imballaggi singoli riposano spesso in posizione verticale. Per gli abbinamenti ad hoc ci sono 16 vini al bicchiere attinti dalla macchina sotto azoto; nella sezione distillati primeggia il Bas Armagnac, un prodotto da invecchiamento, che si può ancora scovare presso piccoli produttori appassionati.
Materiali usati in cucina
Prodotti autoctoni e tecnologie universali: la cucina del Symposium dice sì all’innovazione.
“Abbiamo sperimentato le cotture sottovuoto e le basse temperature fin dal 1988, all’epoca di Saperi e Sapori, avvalendoci della svizzera Franke, che ci ha saldamente guidato per 20 anni; oggi abbiamo optato per i forni Rational ed altre attrezzature selezionate caso per caso”, spiega lo chef. Si segnalano in particolare i mantecatori Bravo, che forniscono “eccellenti risultati in tempi rapidi”, ma anche la minuteria approntata da artigiani di fiducia, vedi le grattugie o la coltellerie Berti, con il trinciante battezzato appunto “Symposium”. Attrezzi su misura che Lucio paragona ai ferri confezionati anticamente per dentisti e chirurghi.
Brigata di cucina
La brigata è numerosa e flessibile, per fare fronte ai grandi numeri della banchettistica. Lo zoccolo duro conta 8 persone, capitanate da Danilo Mariotti, entrato come commis, promosso capopartita ai primi e poi sous-chef, al fianco di Lucio da 5 anni. Le sue doti? “Il carattere pacato, la razionalità fredda ma anche la creatività”, dicono di lui. Gli altri ragazzi sono suddivisi nelle classiche partite: un cuoco agli appetizer, due per pane e pasticceria, due per primi e antipasti freddi, due per secondi e antipasti caldi. Il ruolo iniziale resta in vigore per le 4 stagioni del Symposium: il ciclo del ristorante è annuale.
Brigata di sala
Il direttore di sala è Marino Danilo, coadiuvato dall’angelica Lina Zamisni e da Daniele Guescini, che si occupa di marketing e comunicazione. Sommelier zio Lucio, spesso in sala durante il servizio nella sua immacolata divisa da cuoco. Sempre gradevole e vivace la presenza di Cristina, la bella moglie di Lucio, e delle loro giovani figlie, Caterina, Rosita e Isotta.
Il ristorante
Cuoco per vocazione, Lucio si è fatto le ossa nel ristorante di famiglia, la Posta Vecchia, dove a suo tempo si fece notare da Gault et Millau per alcuni superbi affreschi gastronomici. L’avventura del Symposium è partita nel 1985 e da lì ha spiccato il volo: forte della sua conoscenza delle materie prime e del suo amore per il territorio, Lucio vi ha messo a punto piatti miliari, che traggono spesso ispirazione dalla cucina popolare delle Marche, con gli aggiustamenti tecnici del caso. È una miniera conosciuta attraverso i ricettari femminili, i racconti dei ragazzini dell’alberghiero (dove Lucio è stato lungamente professore) e le frequentazioni amichevoli con i contadini, che trovano il loro controcanto nella famigliarità con l’alta cucina, ancora agli albori in Italia. La contaminazione conduce a piatti arditissimi, con le loro mescolanze di carne e pesce, le correzioni mirate e gli abbinamenti inediti di consistenze o di sapori. Tuttora in carta i passatelli asciutti, inventati fra queste mura, l’insalata di anguilla e guanciale di maiale, le tagliatelle alla Benito Mussolini. Ma il ciclone spagnolo non ha risparmiato Cartoceto: fra i piatti della nuova generazione si segnalano arditi americani al cucchiaio.
I menu sono tre: uno dedicato al pesce dell’Adriatico (90 euro), uno al tartufo di stagione (100 euro) e la degustazione Grand Gourmet (120 euro). Contano tutti 4 appetizer (che rappresentano un po’ il terreno di ricerca generale), seguiti dalle portate di un classico pasto italiano, quindi un’entrée, un primo, un secondo e un dolce. Nei mesi caldi è più forte l’orientamento verso i piatti di pesce, soppiantati col freddo da tartufi e cacciagione. Si segnalano in particolare la pasta Latini con scorfano in 3 maniere (il guazzetto con la coda, che è più fibrosa e richiede una cottura più lunga, il filettino di schiena rosolato sulla graticola e le pance infarinate e fritte, a rappresentare la cucina dell’Adriatico nella sua trilogia di brodetto, grigliata e frittura). Imperdibile d’inverno il crostino Mondo e Maria, dedicato a Edmondo e Maria, antichi gestori del ristorante Furlo, “che mi hanno insegnato i segreti del sapore del tartufo. Dico ‘sapore’ perché il tartufo è principalmente profumo”. Ecco quindi l’intramontabile crostino di pane di Chiaserna con emulsione di Parmigiano Reggiano, ristretto di Sangiovese e tartufo bianco pregiato di Acqualagna, che esplode sensualmente dalla cloche. Nutrita la sezione pasticceria, affollata di dolci non dolci, “perché finire il pranzo con lo zucchero alla gente piace sempre di meno”. (A.M.)
SYMPOSIUM 4 STAGIONI
Via Cartoceto 38 • Serrungarina (PU) • Tel. 0721/898320 • chiuso il lunedì e a pranzo • lucio@symposium4stagioni.it