A volte le distanze geografiche sono ingannatrici. Prendi Galliate Lombardo e Gallarate: distano solo venti chilometri, ma sono due mondi a sé stanti. E non solo per le dimensioni (Galliate è un piccolo paese di 955 abitanti, Gallarate ne conta quasi 52000). Galliate è collina, lago, provincia. Gallarate è Milano, Malpensa, città. Se aggiungi che a Galliate l'officina di Vinciguerra si nascondeva in un vecchio circolo di paese, e a Gallarate invece ha preso possesso di una splendida villa Liberty in pieno centro con 4000 metri quadri di giardino intorno, capisci allora il salto che Ilario, assieme alla moglie Marika, ha compiuto. La nuova casa è stata terminata da poco, ed è stata inaugurata all'inizio di questa primavera. Un altro respiro, altri orizzonti. E una sfida che si replica ogni giorno, ad ogni turno di cucina: portare in tavola piatti di sensazione, che smuovono ricordi, che si fanno ricordare. E capisci lo stupore di Vinciguerra, a pochi giorni dall'inaugurazione, quando sfrecciando di notte lungo la strada del Sempione che costeggia da un lato la villa, si è dovuto fermare davanti al cancello, vedendola per la prima volta illuminata ad arte: “Ilario, questa volta l'hai combinata grossa!”
Due ingressi, un parcheggio riservato. Una villa scenografica un tempo circolo esclusivo per gli industriali della città. Un parco curato e verde, che trapassa la città per portarti lungo percorsi agresti. La prima impressione è più che buona. All'interno, appena oltre la saletta d'ingresso, mille bottiglie di grappa di Levi, quelle con l'etichetta disegnata a mano dal (fu) Grappaiolo Angelico di Neive (altre storie, di Langa) sono il sipario fantasioso che conduce alle sale del ristorante. Domina il bianco, un'eleganza austera, una mise en place di gran gusto. I 35 coperti del ristorante sono suddivisi tra la sala grande (18 posti) -intitolata Nespolo- obbligato omaggio al quadro del pittore piemontese che campeggia su una parete, e le due salette più raccolte, che possono ospitare meno di dieci persone ciascuna. Nella bella stagione si utilizza anche la veranda, rialzata rispetto al giardino, dove trovano posto quattro tavoli. D'inverno, invece, si potrà godere del caldo e delle scintille di luce dei camini posti nella sala grande e nell'angolo bar. Al piano superiore si allarga lo spazio riservato ad eventi e meeting: sono 80 i coperti a disposizione, in un'unica sala luminosa e semplice.
Un noto blogger, Stefano Caffarri, da tempo ammiratore (e narratore) di Ilario Vinciguerra, ha coniato per la sua cucina una definizione calzante: “non vulcanica, ma vulcaniana”. In effetti, la cucina di Vinciguerra è sì pirotecnica e di sensazione, ma non sensazionale. Ovvero, non mira a stupire con effetti sorprendenti, ma è una cucina, come racconta lo stesso chef “di gusto, di retrogusto, di memoria”. La cucina di Vinciguerra racconta del suo mondo, che mescola Mediterraneo, Francia e tanti influssi e suggestioni pescati in giro per il pianeta; della sua passione per le materie prime; della sua creatività fantasiosa, dispiegata soprattutto in alcuni accostamenti a prima vista azzardati, ma risolti brillantemente nel piatto. Sono tre i menu proposti: “Sapori”, 5 piatti a 70 euro, “Degustazione”, 6 piatti a 80 euro e “Sorpresa”, 8 portate a sorpresa a 90 euro. A pranzo è stata lanciata la proposta “Lunch” a 35 euro. Nella carta trovano spazio (pochi) piatti che ormai fanno parte della carta d'identità di Vinciguerra: l'opera di terrina di fegato d'anatra (foto 3), “Profumo”, ovvero la tartare di gamberi scecherati con gin tonic (foto 2), la casseruola di mare con pomodorini e zafferano. La carta varia spesso, all'incirca ogni due mesi. Al nostro passaggio siamo rimasti sorpresi dalla parmigiana nella melanzana (una melanzana disidratata panata con la sua pelle e pane al nero di seppia con all'interno gli ingredienti della parmigiana – foto 5); il tortello integrale con latte di capra, granita di piselli e pancetta croccante (foto 1); la rivisitazione dell'anatra alla pechinese (foto 4): un petto d'anatra al sale scottato sulla pelle, cannolo del suo fegato e riduzione alla pechinese e l'oro di Napoli, omaggio alla pastiera napoletana, proposta in tre versioni (tradizionale, sotto forma di gelato e rivisitata dallo chef in una versione liquida racchiusa da un sottilissimo strato di oro).
Non è una brigata sterminata: dietro ai fornelli, assieme a Vinciguerra, lavorano 5 cuochi. Il nostro grimaldello per conoscere come funziona la cucina del ristorante è Oscar Marsero, piemontese, al fianco di Ilario dallo scorso settembre. Con la prima risposta “Qual è il tuo ruolo?”, “Non ho un ruolo definito, nessuno lo ha”, va all'aria la partitura classica della brigata di cucina, suddivisa per partite. “Non esiste uno schema preciso -spiega Marsero-. Ognuno ha le sue responsabilità e l'unico vero chef è Ilario. C'è una divisione formale, per non fare confusione, si porta avanti la propria linea, ma quando c'è il servizio riusciamo a interagire e a scambiarci facilmente. Non essendoci schemi tutti riescono a fare tutto. Questo dà la possibilità a noi di divertirci di più e ai ragazzi di imparare molte più cose, perché hanno una visione ad ampio spettro”. Visto che Marsero ha lavorato anche nel vecchio ristorante di Galliate Lombardo, chiediamo se la cucina ha subìto uno scarto, una divergenza, con il trasloco. “La vecchia location ci limitava tantissimo, sia a livello di sala ristorante, sia a livello di cucina. Eravamo limitati fisicamente nelle preparazioni: alcune idee non si potevano portare avanti, perché non avevamo gli spazi giusti. Ora è diverso. Gli spazi si sono allargati. E noi stiamo imparando ad utilizzare la cucina al meglio”. La cucina, col doppio servizio previsto tutti i giorni (tranne la domenica, quando è chiuso la sera, e il lunedì, giorno di riposo) apre alle 9 per il pranzo e riprende alle 18 per il servizio serale. Le luci si spengono attorno a mezzanotte. I fuochi sono a gas, con piastre in ghisa. C'è un forno elettrico e uno a gas. Tra gli strumenti, molto usati sono il roner, il pacojet e la centrifuga. C'è spazio per l'innovazione, ma in interazione con la tradizione. “È così. Ilario è un cuoco che conosce la tecnica, ma non è mai freddo. Portiamo avanti una cucina di sostanza. L'estetica e il concetto non prevalgono mai sul palato. Prendiamo un semplice pomodoro. Controlliamo le temperature, le grammature, i tempi di cottura. Ma un pomodoro resta un pomodoro, non è né sferificato né modificato. Quello che si mangia deve creare delle emozioni, e le emozioni devono riportare alle origini, all'infanzia. In un pomodoro ben fatto uno ritrova sapori della memoria, e gli rimarrà nel cuore”. Ecco allora che la definizione di Marsero per la cucina di Ilario nasce spontanea: mediterranea, creativa e di sostanza. “La mediterraneità sta nell'uso di molti ingredienti, olio extravergine e pomodoro su tutti, la creatività negli abbinamenti e nelle presentazioni, la sostanza nei piatti pensati per essere mangiati, non guardati”.
Trentacinque coperti, per sette persone impegnate nel servizio. Una brigata di sala abbastanza corposa, guidata da Marika Vinciguerra, padrona di casa e sommelier e da Donato Lamorte, responsabile del servizio di sala e del servizio bar. Donato Lamorte, alle spalle un'esperienza nel mondo del beverage in resort e navi da crociera, ci spiega come è strutturata la brigata e il servizio. “Ci sono 4 chef de rang e 3 commis de rang. Sul rango lavora direttemente lo chef de rang. Su otto tavoli abbiamo quattro stazioni, quattro ranghi dove lo chef de rang è responsabile del servizio, affiancato dai commis. Lo chef de rang inizia con la proposta dell'aperitivo fino a concludere il servizio con il caffè. A proporre il menu e prendere la comanda siamo io e Marika”.
Marika invece riassume la filosofia del servizio.
“Lo abbiamo impostato secondo le regole classiche delle grandi case, ma cerchiamo di evitare qualsiasi distacco formale.
Non deve mai mancare il sorriso, per far sentire il cliente a proprio agio. Nella presentazione dei piatti cerchiamo di trasmettere l'attenzione nella ricerca delle materie prime che ha Ilario, la sua passione per la cucina, ma bisogna trasmetterla nel modo più semplice e familiare possibile.
La presentazione di un piatto è per me motivo di accoglienza, non di sudditanza”. Dalla cucina i piatti arrivano tutti finiti, anche se c'è l'idea, superato questo primo periodo di rodaggio, di inserire qualche finitura in sala, dalla porzionatura del pesce al servizio del dessert. Qualche novità potrebbe arrivare anche dal bar. “Stiamo valutando l'idea di un aperitivo che viaggia di pari passo con le nuove tecnologie di cucina -spiega Danilo Lamorte- un cocktail proposto in gelatina, in spuma, con consistenze diverse, e non è detto che con l'estate non diventi realtà”.
La cantina è all'ingresso, e scenograficamente fa bella mostra di sé. La responsabile è Marika, che già svolgeva questo ruolo a Galliate Lombardo. A temperatura e umidità controllata riposano circa 1000 etichette, principalmente italiane, ma ci sono anche Europa (Francia su tutti), Nord America, Sud America e Australia.
“Abbiamo una bella selezione di bollicine, sia italiane che francesi -spiega Marika Vinciguerra-. Tra i bianchi italiani, spiccano i vini campani. Tra i rossi, ampia scelta per Piemonte e Toscana, con una bella verticale di Sassicaia. Proponiamo il servizio al bicchiere, soprattutto a mezzogiorno. In mescita facciamo girare due o tre tipologie di bianco, due tipologie di rosso, due vini per il dessert. Ai menu è possibile abbinare tre calici di vino a 30 euro o quattro calici a 35 euro”. Quali vini ti piace consigliare ai clienti? “Tra i bianchi amo molto come vitigno lo Chardonnay, perché ha una bella gamma di sfumature. Abbiamo in carta diversi Chardonnay italiani, dall'Alto Adige alla Sicilia. Due mi piacciono in particolar modo: il Giarone di Bertelli in Piemonte e il Castel del Monte Pietrabianca di Tormaresca, in Puglia. Tra i rossi, amo molto quelli di corpo, quindi, anche se apprezzo l'eleganza di Barolo e Barbaresco, la mia predilizione va ai vini del sud Italia, Taurasi su tutti. Un vino che tengo nel cuore è il Palari di Faro Palari, vino siciliano da vitigni autoctoni con prevalenza di Nerello Mascalese. Per i dolci, con la stagione estiva, consiglio due abbinamenti giocati sulla freschezza: il Moscato d'Asti Bricco Quaglia de La Spinetta o il Moscato d'Alessandria Samos, ottenuto da vendemmia tardiva, molto interessante”
E poi ci sono le birre, proposte in abbinamento ai formaggi.
“Abbiamo iniziato nel 2006 quasi per gioco e questo che ci ha dato la possibilità, oltre che di ricevere due premi, di conoscere un mondo nuovo. Abbiamo circa 40 etichette, principalmente birre italiane, e una selezione di birra d'abbazia, belghe. Le proponiamo a seconda dei formaggi scelti, affinati da Eros Buratti, che accompagniamo a composte fatte in casa da noi tra cui la mia mostarda di frutta e verdura”.