Da alcuni anni a questa parte, uno degli appuntamenti ‘immancabili’ per appassionati gourmet ed estimatori dell’alta cucina d’autore, è il menù Lab che Mauro Uliassi, insieme a sua sorella Catia (leggiadra anima della sala) propone nel suo ristorante, adagiato fra il porto canale e la spiaggia di velluto, a Senigallia.
Immancabile – si diceva – perché il Lab (abbreviazione di laboratorio, qui inteso come pensatoio) esprime il pensiero e la ricerca che il cuoco senigalliese e la sua scanzonata ciurma (il cognato Mauro Paolini, Luciano Serritelli, Michele Rocchi, il pasticcere Mattia Casabianca…) elaborano durante il periodo di chiusura invernale.
Il Lab non è quindi propriamente un percorso degustazione greatest hits piuttosto che ‘a mano libera’ ma un concept menù che raccoglie e presenta riflessioni, spunti e idee su ingredienti, tradizioni e ricette. I Lab, che si distinguono – come per i grandi Champagne d’annata – dal millesimo, non sono sciolti l’uno dall’altro. Chi ha avuto la possibilità di assaggiarli, nel loro incedere, sa bene che sì, da un lato, si presentano con un movimento di ‘moto a luogo’, mostrando il percorso evolutivo della cucina uliassiana. Ma dall’altro, nel profondo, sono l’espressione di un ‘moto in luogo’: ovvero del progressivo e continuo tornare e ritornare, sempre più in profondità, su concetti, profumi e sapori cari a Mauro e alla sua squadra.
Che sia così è, in un certo senso, ovvio perché i ‘grandi’ cuochi – quelli che sono così universalmente riconosciuti (qualche nome? Bottura, Niederkofler, Sultano, il nostro Uliassi, e pochi altri con loro) – sempre meno cercano l’exploit fine a se stesso, mentre sempre più riflettono sul senso del loro ‘fare cucina’, in una continua interrogazione introspettiva.
‘Fare cucina’ che, per Mauro Uliassi, significa ‘sedimentazione’: nei trenta e passa anni della sua attività (il ristorante nasce nel 1990, e chi scrive lo frequenta con assiduità dal 1994, e ben ne ricorda tappe e mutamenti), Mauro – seppur mai lasciando la sua bianca casa adagiata fra porto e spiaggia – si è progressivamente incamminato nell’universo della cucina contemporanea, muovendosi fra la tradizione regionale italiana e le suggestioni che giungevano da oltreconfine, soprattutto Giappone e Spagna.
È così che i gustosissimi piatti dei primi tempi (la bella teoria degli antipasti – fra cui le indimenticabili mazzancolle con schiacciata di patate –, le tagliatelline con raguse e quaglie in potacchio, lo stocco all’anconetana…) lentamente si sono trasformati alla luce delle nuove esperienze. Però, siccome ogni genio è anche genio ‘di luogo’, Mauro Uliassi è stato capace di ‘sussumere’ tutto ciò che di universalmente foresto coglieva, a una dimensione ‘locale’: quel microcosmo anch’esso mondo nel quale Mauro è nato e cresciuto: il mare, la rena, la banchina, la piazza del mercato appena più dietro, le colline sullo sfondo…
Data per scontato la conoscenza di base e data per assodata la tecnica (doti che non incidono però nell’atto creativo, ma solo, e solo in parte, in quello esecutivo), è stato un terzo elemento a permettere che quel percorso di suggestioni trovasse un suo senso compiuto: il gusto.
Sicché questa parola – ‘gusto’ – tanto usata, e spesso abusata per descrivere uno stile di cucina improntato al piacere, nell’universo uliassiano torna a riempiersi della sua semantica primigenia. Il gusto è – per Uliassi – ciò che guida tanto il processo creativo quanto l’atto pratico della preparazione. E non è assimilabile alla tecnica o demandabile a materie prime e abbinamenti. Il gusto è a monte. È ciò da cui scaturisce l’idea stessa della cucina. Il gusto ne indirizza i passaggi, nei giusti incastri sintattici degli ingredienti. E ne scioglie le difficoltà, nella progressiva scomposizione e ricomposizione degli elementi.
Probabilmente il gusto è una dote innata, seppure la si possa coltivare con successo applicandosi, con tanto umile impegno e tanta necessaria pazienza, a comprendere la grammatica dei sapori. E si esprime anche nelle situazioni più contingenti. Per fare piatti di gusto non sono necessari – per esempio – né le cucine ipermoderne che si possono ammirare sulle riviste di design né le diavolerie elettroniche che ora abbondano sui piani da lavoro degli ‘scef’, soprattutto i più giovani.
Ripensando i Lab (ormai oltre una dozzina) con sguardo retrospettivo, se ne può cogliere il nume tutelare – il gusto, per l’appunto – come anche se ne possono tratteggiare alcune caratteristiche che, in modo sempre differente, in modo sempre più profondo, ‘ritornano’, e più che mai vivide appaiono nella proposta millesimo 2022.
Ancora una volta, ancora di più, chi cercasse, in questo Lab, cerebralismi involuti o ludici calembours farà meglio a sedersi altrove: i piatti di Uliassi sono daccapo più improntati a spontanea scioltezza, quasi a una sorta di atarassica serenità.
La vista rimane appagata nella bellezza delle presentazioni (sempre su stoviglie bianche). Mentre l’olfatto (senso molto importante per Mauro Uliassi perché «identifica nello spazio e nel tempo ciò che si sta mangiando») resta ammaliato dai profumi che giungono dalle pietanze. Fra le costanti del gusto, sempre sferzato ma senza forzature, ecco poi gli amati sapori legati al mare (i toni dello iodio, espresso in alcuni ingredienti totemici come ostrica, riccio e seppia) e le reminiscenze del mondo della campagna marchigiana (sempre più protagonista attraverso il sapiente utilizzo degli elementi vegetali nonché di lumache e selvaggina).
Una cucina ‘mare e monti’ che per Mauro Uliassi è «memoria di gusto» perché «la percezione della terra, unita a quella del mare, marca profondamente la cultura marchigiana. È quel fil rouge che lega l’abitante della costa al ricordo di quando era al tempo stesso contadino, cacciatore e pescatore». Ed è questa precisa identità che Uliassi indaga, per «raccontare la vita degli uomini ed emozionare il palato».
Nelle sue dodici portate – dall’aperitivo alla piccola pasticceria – il Lab 2022, che nel complesso spiazza per solidità e confortevolezza, si apre con un invito: «slide to taste», ovvero «scorri per gustare».
Sul piatto una gelificazione di prezzemolo, sedano, alici e acqua di mare con le loro polveri. Come quando si scorre il dito sullo schermo dell’Iphone per mutare pagina, o come quando si alza (in realtà quasi sempre orizzontalmente) il sipario su uno spettacolo, la sollecitazione è quella di inforcare il cucchiaio e raccogliere la pietanza da destra a sinistra.
In bocca una bomba di profumate note vegetali si distende su un suadente gusto marino che prepara il palato alle portate successive.
Immersi nell’Adriatico (nel 2016 era proprio un «Benvenuti al mare» ad aprire il pasto) ecco quindi arrivare, in una sorta di climax, gli abitanti della sabbia e degli scogli: i ricci, freddi, proposti in un magistrale contrasto aromatico col mandarino e la zafferanella; le seppie, crude, con pomodoro verde, polline e olive nere essiccate (complesso il gioco delle consistenze e ancor di più il dialogo fra amarezza, acidità e salinità che trova nella fresca dolcezza del polline la sua rotonda conclusione); il gambero rosso, con buccia d’arancio, zenzero, cannella e le sue cervella (qui entrano in campo le spezie a reggere una partitura fortemente orientaleggiante, improntata a tendenza dolce e grassezza); e infine le ostriche in insalata con pesto di rucola, limone e borragine, piatto ove si incontrano di nuovo un vegetale dalla forte persistenza balsamica e il marino, oltre all’immancabile finale limonato.
Dalla spiaggia lo sguardo di Uliassi si volge quindi verso l’entroterra. Appaiono, in un tripudio proustiano di profumi della memoria, gli abitanti dei fossi: le lumache (quest’anno soavemente sposate a peperone friggitello, origano ed erbe soffiate) e l’anguilla, proposta affumicata con albicocca, alloro e rafano (pietanza di forte impatto, complessa nelle sue molteplici reminiscenze che spaziano sino al Nord Europa).
Anche i primi parlano più di terra che di mare, con due riletture di grandi classici italiani: la pasta col tonno e la pasta col pomodoro.
La prima diventa un imperdibile spaghetto, dal tocco un po’ siculo, con tonno sott’olio, uvetta sultanina, capperi, cucunci, olive essiccate e finocchio selvatico. Mentre la seconda è la ripresa dei paccheri e pomodoro «alla Hilde», ovvero con un infuso di burro e foglia di fico, creazione che tanto successo ha avuto nel Lab targato 2021. A chiudere la sequenza, prima della parte dolce (quest’anno si segnala l’ottimo gelato di cabossa, ovvero il frutto del cacao, con mandorle e caffè), un altro ingrediente totemico che già era apparso in Lab precedenti: il colombaccio. Adesso Mauro Uliassi lo propone appena scottato e accompagnato da spezie (tabacco e cardamomo nero) e da pompelmo asciugato.
Il risultato è ancora un bilanciato dialogo fra le parti ‘ferrose’ della carne, l’avvolgenza degli aromi e la leggera acidità dell’agrume, che accarezza il palato. Uscendo – felici – dal ristorante, e incamminandosi lungo il porto canale non si può non ragionare su come definire, sinteticamente, il Lab 2022.
Altissima cucina? Cucina senza eguali? Cucina d’autore? Cucina ‘assoluta’? Sì, certo, tutto questo. Ma forse meglio, e più: cucina di gusto!