L’argentino Fernando Rivarola fa affidamento sui pesci di fiume e sulle carni veramente argentine e poco tradizionali come lo nandù o il caimano jacarè, recuperando i sapori della sua infanzia.
Cos’hanno in comune il caimano jacarè, il lama e la viscaccia? Per lo meno due cose. La prima, sono che tutti animali autoctoni dell’Argentina. La seconda, che fino all’arrivo di Fernando Rivarola nessuno chef aveva osato servire la carne di questi animali nel proprio ristorante. In meno di dieci anni Rivarola ha trasformato il suo rifugio “El Baqueano” – che si trova nel tradizionale quartiere di San Temo (Chile 495), a Buenos Aires – in un sinonimo di esotismo. Oltre che in uno dei migliori ristoranti al mondo: alla fine del 2015 si è classificato 15° per la rivista Restaurante 18° per The World’s 50 Best Restaurants America Latina.
Le questioni che hanno motivato Rivarola sono semplici: prodotti 100% autoctoni argentini, tecniche moderne della gastronomia internazionale e sapori che rimandano ai piatti preparati dalla nonna. Perfino nei dettagli: la senape che viene servita nel Baqueano deriva da un’antica ricetta che mescola i semi bianchi e neri, li macina non completamente e vi aggiunge sale, un aceto speciale e un po’ di miele. Nessuno può uscire dal suo ristorante senza aver assaggiato i diversi tipi di carne che sono protagonisti dei menù del giorno: l’unica alternativa è quella di perlustrare il menù in cinque o sette passi in modo da esplorarne tutte le opzioni. Tuttavia non esistono menù semplici che possano offrire delle scorciatoie per ordinare un piatto che abbia la parvenza di apparire più “normale”.
Rivarola è nato 39 anni fa a San Cayetano, una piccola località balneare che si trova a circa 500 chilometri dalla città di Buenos Aires. Le carni non tradizionali erano, in quell’epoca, un elemento quotidiano della cucina: suo padre andava a caccia in quell’area e in casa si mangiava quello che lui portava. Senza remora né distinzione. “Ricordo di aver viaggiato nella piccola utilitaria, una Fiat 128, con un nandù nel baule; osservavo dal vetro posteriore le piume che uscivano e si disperdevano lungo la strada a causa del vento”, ricorda Rivarola.
Incontro col destino
Appena compiuti i vent’anni, ha deciso di emigrare, portando con sé tutta la sua creatività e la sua curiosità. La prima fermata è stata a pochi chilometri da casa; all’ISAC (Instituto Superior de Artes Culinarias) che si trova nella città di Mar del Plata, il principale centro turistico argentino, a circa 80 chilometri dal suo paese d’origine. Le sue prime armi le ha affilate in un hotel che si trova nella stessa località: l’esclusivo (e all’epoca da poco inaugurato) Costa Galana, dove ha iniziato la sua formazione con professori argentini e francesi. Nell’anno 2000 ha deciso di continuare il suo viaggio in direzione dell’Italia, per lavorare e studiare presso una scuola di Lavagna, vicino a Genova.
Dopo questa esperienza è stata la volta della Spagna, dove ha vissuto per 7 anni. Qui, ha portato il suo talento in diversi ristoranti di diverse città spagnole (Malaga, Torremolinos, Marbella, Valencia e Palma de Mallorca) oltre a passare un periodo a Toro, un piccolo paese di tradizione vitivinicola della zona di Zamora, tra le regioni di Castilla e di Aragona. Il destino gli si è presentato in tutta la sua evidenza: “Lavoravo in un posto dove si serviva solo carne di selvaggina e lì ho capito che era proprio quello che io volevo fare”, racconta. A questo punto ha completato la sua specializzazione sul tema insieme alla famiglia Lera Collantes, una famiglia di cuochi rinomati della provincia. “Questo ha rappresentato per me il punto di svolta nella mia carriera perché lì ho capito lo sforzo che serve per ottenere una stella Michelin in un ristorante con solo 5 dipendenti e con un budget limitato”, racconta.
Alla fine è tornato nella capitale argentina per dare inizio al suo progetto. Con l’esperienza acquisita, e insieme a sua moglie, la sommelier Gabriela Lafuenta, si è lanciato alla ricerca del piacere e della perfezione gastronomica. E’ così che è nato El Baqueano.
“Mi sento estremamente orgoglioso, perché in qualche modo sento di essere un rappresentante della gastronomia argentina”, dichiara spesso. E a ragione: ama portare le sue “creazioni” ai convegni gastronomici che si organizzano in varie parti del mondo, posizionandosi nei posti alti delle classifiche; El Baqueano è stato il primo ristorante argentino ad apparire nei quaderni a diffusione mondiale Apicius, pubblicati in Spagna. Rivarola inoltre è a capo di un progetto che si chiama “Cocina Sin Fronteras” (Cucina Senza Frontiere), insieme con il messicano Pablo Salas (proprietario del ristorante Amaranta di Toluca) e al suo connazionale Martín Molteni (del ristorante Pura Tierra, di Buenos Aires). Questo gruppo si propone come obiettivo lo scambio di esperienze tra chef di tutto il mondo per la “pluralità della gastronomia e la divulgazione dei prodotti autoctoni, tipici e regionali”, come descrive la pagina Facebook dell’associazione.
Tra lepri e pernici
Quali sono le altre offerte “carnivore” che offre El Baqueano? Nandù, lepre, pernice, cinghiale, quaglia, cervo, anatra e… “qualsiasi altra cosa”, come recita l’imprecisa definizione dello chef. “Mangiare solo carne di manzo o di pollo è una questione prettamente culturale: a livello di salute e nutritivo le carni esotiche sono altrettanto buone, quando non addirittura migliori, di quelle tradizionali”, afferma Rivarola. “Il caimano jacarè ha tutti le componenti nutrizionali, viene da allevamento, e di solito gode di ottima salute oltre ad avere tutti i certificati sanitari… Direi che non esiste alternativa migliore al pollo di questa!”, dice con enfasi. Allo stesso modo, Rivarola ha dato inizio ad una crociata in favore dei pesci di fiume che, come per la carne, restano fuori dalle mire della maggior parte dei cuochi più importanti in Argentina: il pacu, il surubí, la lampuga, il patí, il chanchito de mar, il pesce re, la palometa e la corvina. “Abbiamo cominciato una ricerca in cui abbiamo notato che la pesca di fiume ha delle problematiche proprie e viene mal vista dalla comunità, ma ha un immenso valore e per questo ci stiamo muovendo in sua difesa”, spiega. Di fatto, nel Baqueano in varie occasioni si è scommesso sul pacu, il cui lombo era l’attore principale del piatto “prosciutto di fiume” del menù invernale, e della “falsa bistecca di manzo”, una sorta di sfida nei confronti dei conservatori di questo tradizionale taglio di vitello.
“Il mio stile di cucina si basa sui prodotti tipici, autoctoni e regionali, siano essi allevati per questo scopo o si trovino nel territorio; siamo curiosi per natura e divulgatori per vocazione, dato che mio padre cacciava, pescava e cucinava ciò che per la gente poteva sembrare una stranezza, ma che per me ha sempre avuto il sapore dell’infanzia”, conclude.