Non mi vedrete mai né qui, né sulla poco amata piazza Facebook, confondermi tra la pletora di coloro che – già CT della nazionale di calcio, poi convertiti a virologi e ora a statisti – pontificano ridicolmente su cosa dovrebbe fare l’Italia tra venti di guerra e costi energetici fuori di testa.
Di certo tuttavia mi permetto di evidenziare l’evidenza, ossia che non solo ai politici poco lungimiranti, ma che a tutti noi va attribuita la responsabilità dei nostri mali. Perché non impariamo mai, né dall’insegnamento della storia né dai nostri errori.
Affetti da una ormai perniciosa sindrome del ritardo, non abbiamo fatto nulla per tutelarci preventivamente e oggi le lagne sono inutili e sterili.
Di fatto, il terribile errore dei “no” continui a tutte le fonti di energia, persino alle rinnovabili di cui saremmo provvisti in larga misura, presenta ora il suo conto salato.
Dunque che fare?
L’ho scritto sopra: non sono quella che ha le necessarie competenze per mettersi a disquisire su quelle soluzioni che solo una seria politica di interventi strutturali può adottare per aumentare l’autoconsumo verde e ridurre la dipendenza dall’estero.
Mi limito a suggerire di provare a rimboccarci di nuovo le maniche con italica fantasia e atavico spirito di adattamento, magari traendo spunto dalle ricette, stavolta indigeste, che il web propone ai ristoratori: ricorso generalizzato al menù fisso confidando nella comprensione solidale dei clienti, sconti sui menù degustazione, contrazione degli orari di apertura, oppure introduzione del doppio orario fisso (tipo 19 e 20.30), chiusura di alcune aree dei ristoranti, proposte di piatti se non crudisti, magari a cotture limitate. E solo candele su tutti i tavoli, come provocatoriamente ha fatto un ristoratore per dare sfogo visibile al proprio disappunto.
Con l’augurio per tutti di cavarcela, se possibile…