Il problema non è Tripadvisor: lo dico ai numerosi ristoratori che mi hanno inviato le lettere di sedicenti agenzie che vendono recensioni positive, chiedendomi come difendersi in un sistema di web reputation chiaramente falsato.
Il problema sta nel fatto che i social media danno “diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino”, per dirla alla Umberto Eco.
Sarò antipatica, ma anche soltanto analizzando i concetti e il lessico primitivo dei contributori di Trip, risulta evidente come siano prevalentemente le fasce “meno competenti” a lasciare il proprio illuminato giudizio su questo sito. Un attimo di potere per sentirsi importanti!
Però un conto è parlare di un piatto o di un ristorante sulla propria pagina Facebook, come molti fanno, un conto è incidere sulla pietra di Trip un commento che va a determinare la reputazione più o meno positiva di un ristorante.
Perché Trip, come spiega l’articolo che pubblichiamo nella pagina seguente, gioca proprio soprattutto sulla grafomania degli imbecilli, dei concorrenti invidiosi, dei mitomani, dei malmostosi, dei vigliacchi, per creare un sistema di recensioni inaffidabili, incancellabili e molto consultate.
In assenza di legislazione, è inutile sperare che il colosso della non trasparenza blocchi i milioni di anonimi che sproloquiano senza controllo.
L’unica soluzione possibile è un’informazione autorevole fatta da contributori identificabili e credibili. E uffici legali da parte delle Associazioni di categoria per denunciare tutti i falsi di Trip.
Trip non è intoccabile: le Guide professionali cartacee e web dovrebbero fare il proprio lavoro, ossia contrastarlo offrendo un servizio analogo, però basato su critiche certificate, controllo delle fonti, analisi dei testi forniti dai navigatori.
Io, come direttore ed editore di un sistema consolidato di informazioni professionali, non ho mai apprezzato le parole in libertà di quattro amici al bar che pontificano sulla base del nulla.
Per me Trip rimane un ecumenico social con scarsa credibilità, il buio confessionale di chiacchiere “di” e “per” perditempo.