Di La Madia
Domanda: perché l’enologo in un vino può impiegare solo l’uva, mentre un cuoco usa tanti ingredienti per fare il suo piatto?
L’anno scorso abbiamo pubblicato una inchiesta sullo stato di salute del vino. Faticosa.
Uno dei problemi è stato il muro omertoso delle mezze ammissioni e delle colpevoli reticenze.
Specialmente sul tema delle polverine magiche: un mercato che esiste ma di cui nessuno vuole comprensibilmente parlare.
Questo mi ha infastidito non poco: non mi è mai piaciuto avere paura degli argomenti.
Riaffronto pertanto personalmente questo tema partendo da un casuale presupposto: di recente il vino di un noto produttore mi ha insospettito per certe sue troppo accentuate caratteristiche che né il passaggio in legno, né le piú accorte tecniche di vinificazione potevano, secondo, me, conferirgli.
L’ ho fatto esaminare e ho avuto parziale conferma dei miei dubbi che approfondirò con un’analisi specifica, peraltro costosa. D’altra parte la ricerca della chiarezza ha sempre un prezzo, non solo economico.
Nel frattempo, con la libertà intellettuale che dovrebbe avere chi vuole capire prima di decidere di rifiutare un argomento, vorrei analizzare brevemente il problema degli “additivi” del vino senza pormi schemi pregiudiziali.
Sappiamo che la legge italiana ne proibisce l’utilizzo, ma nessuno mi venga a raccontare la solita favola secondo la quale il vino si fa in vigna.
Da alcuni anni a questa parte certi vitigni sono stati addomesticati per essere adeguati al gusto della gente e alla moda del momento.
Non mi si dica che la cantina e i suoi segreti, sia pure legittimi, non hanno avuto in questo mutamento un ruolo fondamentale.
Allora che male ci sarebbe se un cantiniere, così come un grande chef che usa sale, pepe, aromi e spezie, potesse dimostrare la propria abilità preparando, con l’estratto di frutti di bosco o con il distillato di rosa, il piú piacevole vino del mondo? In fondo la liqueur d’expedition usata nella spumantizzazione, non è forse un additivo?
Per ora lo champagne è probabilmente l’unico vino che sia davvero una creazione dell’uomo.
L’altra eccezione è il “vino” di visciole marchigiano, prodotto fin dall’antichità con ciliegie selvatiche macerate nel vino: straordinario da abbinare al cioccolato.
Perché dunque non provare a mettere in discussione il manicheismo, spesso solo formale, del mondo enologico? Non sto parlando, ovviamente, di vini aromatizzati chimicamente, ma di elaborazioni naturali per sviluppare i sapori.
La mia è una domanda astratta, che vuole solo sottolineare provocatoriamente la rigidità di certi modi di pensare e la facile illiberalità delle scelte conseguenti.
Tuttavia che male ci sarebbe a dichiarare l’utilizzo di un aroma piuttosto che prendere in giro la gente e la legge?
Il vino è l’unico alimento che in etichetta non dichiara i suoi ingredienti.
Potrebbe essere onesto e interessante incominciare a farlo.