Con una cucina che sembra ispirata ai quadri delle gallerie del Tate Modern di Londra, lo chef Atashroo riesce a trasmettere una visione artistica della sua cucina.
Londra è ricca di terrazze che si aprono su vedute mozzafiato. Il Level 9 si trova al nono piano di un’antica centrale elettrica trasformata nell’edificio più moderno delle gallerie del Tate e nasconde una vista impressionante sulla Cattedrale di St. Paul e The Shard.
Offre una cucina europea moderna, con particolare attenzione agli ingredienti locali britannici. Il menù è flessibile e cambia regolarmente, riflettendo la disponibilità dei prodotti stagionali.
Al Level 9 si può degustare un pasto da tre portate, ma si accolgono anche visitatori alla ricerca di un piatto veloce. Lo chef Jon Atashroo guida un team che ama dar vita ai sapori della memoria. Oltre ai piatti di stagione, offre menù a tema abbinati alle esposizioni temporanee.
Atashroo viene da un’esperienza come head chef presso The Richmond Hackney, dove è stato responsabile della start-up del ristorante specializzato in prodotti di mare.
Qual è il suo primo ricordo legato alla cucina?
Non è molto romantico, ma è divertente: una scena dove mia madre cucinava spinaci in scatola nel microonde con un coperchio di vetro. È stato orribile, ma è uno dei miei primi ricordi. È un peccato e non le fa onore, perché tutto quello che cucina è incredibile.
Cosa mangiava a casa quando era piccolo?
Eravamo una famiglia abbastanza normale e mangiavamo tutti insieme alla fine della giornata. Non c’era nulla di particolarmente speciale in quanto al cibo.
Quali erano gli ingredienti che odiava, al tempo?
I fagioli al forno. Ancora adesso detesto i fagioli.
Come hanno influenzato la sua cucina le varie esperienze della sua vita?
Sostanzialmente, la laurea in matematica mi ha messo di fronte al fatto che la vita è fatta di proporzioni. Non è possibile cambiare le ricette o giocarci tanto, se non si comprende la proporzione di ogni ingrediente e si dà una funzione ad ognuno di loro.
Quali sono le qualità che più apprezza in uno chef?
La passione per gli ingredienti e per i sapori. Le tempistiche scrupolose, il lavoro duro, lo sforzo e il senso dell’umorismo.
Mi parli della sfida nella cucina del Tate
Non è una cucina problematica perché abbiamo un ottimo team, ma il numero di persone che passano per le gallerie è molto diverso da quello di qualsiasi altro ristorante del nostro genere.
In che direzione si muovono le tendenze della cucina internazionale, in particolare quelle della sua?
Ci stiamo muovendo verso un cibo più locale. Meno miglia aeree, meno imballaggi, meno plastiche. I termini “iperlocale” e “iperstagionale” sono le parole che più ho sentito risuonare ultimamente. Se questa però non sarà la quotidianità per la maggior parte dei ristoranti, avrà sicuramente un effetto a medio termine.
Qual è il piatto nel menù del Tate che non si può fare a meno di provare?
Senza dubbio il cavolo con burro di anacardi, uva passa e capperi. Il miglior piatto vegano.
Cosa distingue il suo ristorante dagli altri locali nei musei di Londra?
Siamo un team interno, non siamo in concessione come succede per la maggior parte delle imprese di questo tipo, e questo ci avvicina maggiormente a ciò che di più ci si aspetta da un ristorante.
Potrebbe definire con alcuni aggettivi lo stile di cucina che propone nel suo ristorante?
Unico, gustoso, bello, speziato, sorprendente, seducente.
Potrebbe nominare 5 ingredienti che le piacciono particolarmente?
La curcuma fresca, il rabarbaro, il sedano e il burro. Anche se le preferenze cambiano con le stagioni.