Cristian Morales nasce in Argentina e diventa famoso in Messico. Per prenotare nel suo ristorante c’è una lista d’attesa di oltre due anni. Il segreto del suo successo? Offrire ad ogni cliente un’esperienza unica.
Il nome dello chef Cristian Morales è profondamente legato alla bellissima località balneare di Cancún, con le sue splendide acque turchesi, le sue catene albeghiere che si snodano lungo tutta la linea costiera e le spiagge di sabbia finissima. Nonostante ciò lui proviene da un umile quartiere della cittadina di Godoy Cruz, nella provincia di Mendoza, il principale centro vitivinicolo dell’Argentina, Paese che lascia all’età di 18 anni.
Uno dei suoi obiettivi sembra essere stato quello di un continuo apprendimento e miglioramento personale. Infatti si diploma come consulente in ristorazione e tecnico per la qualità e per la certificazione ISO 9000 presso l’Universidad Autónoma de Barcelona, in Spagna, e anche come ingegnere in alimentazione presso l’Universidad de Luján a Buenos Aires (Argentina) e infine come sommelier presso la Rouvenez in Svizzera. Si ritrovano tracce del suo passaggio anche per il “Taller El Bulli”, del leggendario Ferrán Adriá. Nel 1998 lascia il suo Paese natale, l’Argentina (lo stesso Morales ricorda di essersene andato via con appena 70 dollari in tasca) e viaggia per il mondo fino a giungere in quello che sarebbe diventato il “suo posto nel mondo”: Cancún.
Nel suo girovagare, ha visitato nientemeno che quattordici Paesi tra l’America Latina e l’Europa e ha svolto diversi lavori come lavapiatti, cameriere e barista. Comunque sempre vicino a qualche cucina. Il suo primo impiego sulla riviera Maya non è stato tuttavia quello dei suoi sogni: ha trovato infatti lavoro come cameriere in un hotel cinque stelle nel quale si servivano la bellezza di 15.000 pasti al giorno. “Dormivo due o tre ore a giorno”, ricorda Morales. Ma con l’ansia imprenditoriale che lo contraddistingue, decide di creare un piccolo locale con quattro tavoli. Un giorno, al suo modesto locale si presentano due giovani. Bevono, mangiano, chiacchierano e se ne vanno più che soddisfatti.
Quelle non erano due persone qualsiasi, ma due critici gastronomici del The New York Times. La rassegna stampa relativa al suo locale che ne scaturisce offrirà a Morales un’accelerazione al suo lavoro come non avrebbe mai immaginato. Grazie a questa spinta, Morales riesce ad aprire il suo attuale ristorante a cui dà il proprio nome: uno spazio che ospita solamente 38 commensali al giorno, in due turni, a pranzo e a cena. L’obiettivo è quello di far degustare piatti d’autore “fusion”, “nei quali i profumi e i colori si uniscono in una creazione unica anche per i palati più esigenti”, ci spiega Morales. Per accaparrarsi uno di questi posti, bisogna prenotare con un paio d’anni d’anticipo.
Morales ha dato vita anche ad una impresa di catering per eventi, ed un locale, il “Macaron Store” (dove si vendono delizioni pasticcini in un ambiente che sembra una gioielleria) e “The Café” che, come indica lo stesso nome, offre bevande calde in uno spazio di tutto relax.
“La mia casa è la casa di tutti, come quella di mia madre; la casa di tutti è sempre aperta e si cucina quello che c’è e come si può, ma sempre con amore” ci assicura lo chef.
Nonostante mantenga un basso profilo e un atteggiamento di umiltà, Morales si è strasformato velocemente in una vera celebrità della gastronomia. Tra i suoi clienti si annoverano Brad Pitt e Julia Roberts e addirittura Donald Trump lo ha scelto per un evento privato di capodanno, molto prima di candidarsi alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. “Lo abbiamo organizzato in uno yacht alle Bahamas”, ricorda Morales, che sottolinea come l’attuale presidente degli Stati Uniti abbia scelto piatti semplici e leggeri, esclusivamente di pesce.
UN CLIENTE COME IN UN FILM
C’è stato anche un cliente “speciale” che gli ha fatto vivere un’esperienza degna di una produzione di Hollywood: il famoso narcotrafficante messicano “El Chapo” Guzmán. Un giorno, si presentano due uomini nel suo ristorante, armati fino ai denti. Fuori c’erano delle auto blindate. Incappucciano Morales, lo fanno salire su un aereo privato e lo trasportano fino ad un campo di atterraggio dove lo fanno scendere e lo mettono su un’auto che lo scorta per circa un’ora.
Quando gli tolgono il cappuccio, Morales si trova nella cucina di una casa. Gli spiegano che in sala c’erano venti persone e che avrebbe dovuto preparare da mangiare per tutti. Ad ogni momento, mentre preparava i suoi piatti, c’erano sempre almeno tre persone armate attorno a lui. “Tutto molto buono, le faccio i miei complimenti” gli dice il boss dei narcos alla fine dell’evento. Poi lo hanno incappucciato di nuovo e hanno rifatto il percorso al contrario per lasciarlo sano e salvo nello stesso posto dove lo avevano prelevato: il suo ristorante.
La filosofia di Cristian Morales si può riassumere in una frase che lo stesso chef ha l’abitudine di ripetere ogni volta che gli si chiede da dove venga la sua ispirazione: “La cucina d’autore è un’idea e una filosofia che serve per avvicinarsi alla fruizione di ogni singolo sapore, profumo e colore, e soprattutto per arrivare al vero piacere di degustare ogni proposta gastronomica offerta esclusivamente nel locale che la propone. Questa sensibiltà è quella che ci fa apprezzare il vero senso della vita”.
Le sue caratteristiche più singolari sono le presentazioni dei piatti, la creatività, l’eccellente capacità di combinare i vini con le proposte gastronomiche (sicuramente un’eredità genetica dovuta all’essere nato a Mendoza) e la sua vocazione all’accoglienza personalizzata dei clienti, in modo da offrire una vera e differenziata esperienza culinaria.
Ha girato il mondo, ha conosciuto alcune delle principali stelle del pianeta, è diventato famoso. Nonostante ciò, i suoi sapori preferiti continuano ad essere quelli della sua infanzia. “Preferisco la cucina di mia mamma”, afferma lo chef. “Sono cose molto semplici ma, come diceva un grande chef, il miglior modo di sedurre qualcuno di importante a cui si debba offrire da mangiare è quella di servirgli il piatto più semplice possibile”, conclude.