C’era a metà dell’800, ubriacando una Parigi prima rivoluzionaria poi napoleonica, ma c’era anche nel nostro Paese, quando dalle cuffie del walkman arrivavano, in pieni anni ’80, le note di una delle tante hit dei Duran Duran. Chablis ha sempre spopolato. Parlo di fama e diffusione, ma anche nel senso etimologico del termine. Un dato? Se sino all’800 a Chablis si contano 40000 ettari vitati, con la fine dello stesso secolo arriva prima la filossera a sterminare le viti e poi due guerre mondiali a decimare le vite di chi le coltivava. Gli ettari vitati crollano, a beneficio di quelli dedicati ai seminativi. La chimica, oggi tanto demonizzata, associata a quella macchinazione che ha un forte alleato nelle colline, mai troppo ripide, della zona, paradossalmente rilanciano la viticoltura di Chablis. Finendo di dare i numeri, oggi siamo a quota 5000, sempre e rigorosamente dedicati solo allo Chardonnay; vitigno che qui acquisisce molti elementi di tipicità, se non addirittura di unicità. Il terreno di Chablis non assomiglia a quello della Borgogna. Sulle rive destra e sinistra della Serein – fiume che taglia in due zone il territorio – c’è abbondanza di calcare marnoso. Per i patiti di geologia si chiama Kimmeridgiano, in ossequio all’era geologica in cui si formò. Fondale marino, come testimoniano le piccole conchiglie che non di rado si incontrano lungo i vigneti, questo ‘pavimento’ caratterizza in maniera evidente i vini che da qui derivano, connotandoli con una grande sapidità. Se di unicità avevamo parlato, il concetto si estende dalla vigna alla cantina, con un contenitore dedicato: la feuillette. Botte piccola vino buono dice il proverbio, e questo contenitore da 132 litri, oggi purtroppo poco usato, non solo aiutava i vini della zona ad essere trasportati agevolmente fino a Parigi, ma contribuiva in piccola parte a smussarne il rigore o in alcuni casi la rigidità tutta acidità e sapidità. Oggi Chablis mostra un profilo produttivo ancora poco leggibile, forse perché ancorato a logiche di rese elevate e di conseguenti ricavi. Lo stile delle diverse realtà produttive appare perciò ancora piuttosto disomogeneo, con grandi stelle, brillanti per qualità ma anche per prezzi astronomici, e molti produttori che, pur dando vita a vini ineccepibili, trasmettono poco o nulla dei rispettivi terroir (7 Grand Cru e ben 40 Premier Cru). Se nelle parcelle classificate Grand Cru il fattore K, al secolo Kimmeridgiano, incide parecchio, nei Premier Cru (collocati su entrambe le rive del fiume ma con forte preponderanza numerica sulla riva sinistra) la complessità geologica dà vini forse più pronti, ma comunque facilmente ascrivibili al territorio. L’esposizione è generalmente rivolta a sud, perché la vite da queste parti cerca caldo e sole, facendo perennemente gli scongiuri verso quelle gelate primaverili che qui avevano, specie in passato, una cadenza con precisione d’alta oreficeria. Sempre parlando di tempo, possiamo ipotizzare che gli ormai inesorabili cambiamenti climatici non potranno che giovare ai vini di queste parti, al pari di quel tempo speso in bottiglia, solitamente tanto, che favorisce la piena espressività dei vini prodotti in quest’area.
A lato, alcuni produttori tra i più solidi che la zona possa vantare. Per allargare il campo di visuale si possono citare anche i nomi di Drouhin-Vaduon (negociant borgognone ma che continua a fare grandi vini), Thomas Pico (giovane ma di belle speranze), la Chablisienne (perché essere grandi ed essere cooperativa non sempre è un male), Louis Michel (valido indirizzo ma spesso troppo affezionato al legno in vinificazione), Billaud-Simon (forse uno dei top ma i problemi interni all’azienda fanno preferire i loro vini pre 2010) e Moreau-Naudet (stile cristallino).
I produttori
Domaine Vincent Dauvissat
(importato in Italia da Moonimport, www.moonimport.it)
Uno dei due/tre top player della zona. Usa ancora qualche feuillette. Stile rigoroso, che sa declinare in maniera molto puntuale sia i Grand Cru che i Premier Cru.
Vini più rappresentativi del Domaine: Chablis Grand Cru Le Clos, Chablis Premier Cru Forêt, Chablis Premier Cru Vaillons.
JEAN-PAUL E BENOIT DROIN
(importato in Italia da Balan, www.balan.it)
Da 14 generazioni. Da quando c’è Benoit, attualmente alla guida dell’azienda, il nuovo corso è cominciato, facendo sì che l’azienda si scrollasse di dosso uno stile con molto legno, a tutto beneficio di una maggiore aderenza ai diversi territori.
Vini più rappresentativi del Domaine: Chablis Grand Cru Valmur, Chablis Grand Cru Vaudesir, Chablis Premier Cru Montmains.
WILLIAM FEVRE
(importato in Italia da Gaja distribuzione, www.gajadistribuzione.it)
Oggi di proprietà della maison di champagne Henriot. Fanno vini puri, precisi e con un utilizzo di legno di diversi passaggi, così da non intaccare il messaggio aromatico e gustativo di ogni singolo terroir.
Vini più rappresentativi del Domaine: Chablis Grand Cru Clos, Chablis Grand Cru Bougros Cote Bouguerots, Chablis Premier Cru Montmains.
DOMAINE RAVENEAU
(importato in Italia da Sun Import, www.sunimport.it)
Prezzi alle stelle, ma anche vini stellari. Finiscono sempre: tanto il vino è richiesto in tutto il mondo. Usano legno, ma con garbo. Il loro Premier Cru Montée de Tonnere per potenziale espressivo può essere spesso paragonato ad un Grand Cru.
Vini più rappresentativi del Domaine: Chablis Grand Cru Valmur, Chablis Premier Cru Montée de Tonnere, Chablis Premier Cru Forêt.